Anche negli Usa essere clandestini è reato

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Anche negli Usa essere clandestini è reato

26 Maggio 2008

Nell’ultimo mese, gli agenti federali hanno arrestato oltre 900 persone in California per aver violato le leggi sull’immigrazione. Il venti percento degli arrestati è stato condannato per atti criminali. Solo nella scorsa settimana in Iowa, 270 immigrati sono stati mandati in prigione, invece di essere velocemente deportati fuori dal paese. Un fatto che segnala la determinazione da parte dell’amministrazione Bush di rispettare le leggi di immigrazione e rafforzare la sicurezza ai confini.

La reazione immediata nel paese è quella di solidarietà verso gli immigrati, la cui unica colpa è stata quella di cercare la speranza per un futuro migliore per sé e le proprie famiglie in un altro paese. Ma quando si ascoltano le testimonianze di questi lavoratori in Iowa, si possono capire alcune delle motivazioni per le quali è meglio non chiudere un occhio quando si tratta di illegalità. I lavoratori erano pagati poco e con difficoltà,  costretti a lavorare fino a quattordici ore di fila senza sosta, abusati e in alcuni casi anche  picchiati. Queste non devono essere le condizioni di lavoro offerte da un paese democratico.

La seconda reazione è quella di credere che il sistema americano sia troppo duro contro l’immigrazione. In realtà, basta guardarsi intorno per capire che è vero il contrario. L’America è costruita da immigrati da ogni parte del mondo. Ogni “onda” di immigrati si è col tempo integrata nel paese, creando una vera società multirazziale.

Infine, si potrebbe pensare che ci sia un trattamento diverso per l’immigrazione “povera”. Non è facile ottenere un permesso di lavoro o di residenza negli Stati Uniti, ma questo è vero per persone di qualunque livello sociale, economico e di educazione. Per esempio, molti degli stranieri laureati nelle migliori università americane sono mandati via dal paese poco dopo la laurea, un problema per chi crede che gli Stati Uniti dovrebbero cercare di attirare “materia grigia” (anche la sottoscritta ha aspettato anni per un visto di lavoro e per la green card).

Il problema dell’immigrazione è costantemente dibattuto negli Stati Uniti come negli altri paesi, e particolarmente attuale alla vigilia delle elezioni. Il problema in realtà è legato principalmente all’immigrazione illegale, che ha un costo notevole per il paese.

I bambini nati negli Stati Uniti ricevono immediatamente la cittadinanza americana, un incentivo per milioni di immigranti di venire negli Stati Uniti. Secondo il Centro di Studi sull’Immigrazione, circa 380.000 donne incinte attraversano il confine illegalmente con la speranza di partorire in America. Solo in Texas, ogni anno, più di 65.000 donne sprovviste di documenti danno alla luce un bambino. Le spese mediche di questi parti sono a carico di chi paga le tasse.

Servizi sociali e sanità per gli immigrati costano agli americani 1.1 miliardi di dollari all’anno. Le spese per l’educazione dei figli di immigrati in Texas arrivano a 4 miliardi di dollari all’anno. Al compimento di ventun’anni, i figli possono sponsorizzare i genitori per una green card, ossia il visto di residenza permanente che garantisce praticamente tutti i diritti di un cittadino americano, legalizzando la loro posizione, e dopo cinque anni, possono diventare americani.

La soluzione che il senatore a capo della maggioranza democratica Harry Reid propone è un’amnistia, ossia legalizzare dodici milioni di immigranti che vivono nel paese. Con questa posizione simpatizza anche il candidato repubblicano McCain, che con Ted Kennedy sta lavorando da tempo su una riforma delle leggi d’immigrazione, senza esser riuscito però ancora a farla passare al Congresso. Mc Cain continua a cambiare posizione al riguardo per guadagnarsi i voti degli ispanici ma allo stesso tempo non infiammare troppo le proteste dei repubblicani, alcuni dei quali parlano di “tradimento”. L’ultima posizione di McCain è quella di “garantire sicurezza ai confini” e quindi la sicurezza del paese, prima di regolarizzare gli illegali.

Per molti, un’amnistia alla cieca sarebbe un semplice colpo di spugna: premierebbe chi ha infranto la legge e punirebbe chi ha cercato di rispettarla. Quindi, chi ha meticolosamente compilato carte e documenti negli ultimi due anni ora deve tornare nel proprio paese di origine e ricompilare tutto da capo, e andare in fondo alla fila.  Inoltre, come nota bene il giornalista Mark Steyn nel Washington Post, rimane anche il problema della sicurezza. Nell’amnistia del 1986, Mahmoud abu Halima ha richiesto di essere legalizzato per poi, sette anni dopo, mettere una bomba nel World Trade Center. Il suo collega, Mohammad Salamed, è stato rifiutato, ma è rimasto a vivere nel paese ugualmente. Il sistema d’immigrazione negli Stati Uniti non si puo definire ottimale: anche Mohamed Atta, a capo degli attacchi alle torri gemelle dell’undici settembre, ha ricevuto il suo visto da studente della scuola di volo sei mesi dopo l’attacco.

Con gli arrestati in California e Iowa, Bush spera di scoraggiare la continua affluenza di illegali, per i quali la deportazione immediata non sembrava effettiva. Una delle soluzione che il Presidente propone è quella di dare dei visti di lavoro temporanei, ma anche questa proposta aspetta l’approvazione del Congresso.