Siamo liberali, il Manifesto d’ottobre di ex fascisti e ex comunisti non ci va giù

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Siamo liberali, il Manifesto d’ottobre di ex fascisti e ex comunisti non ci va giù

28 Ottobre 2010

La lettura del “Manifesto di Ottobre” redatto da un arzillo gruppo di intellettuali (con qualche “politico politicante” infiltrato) ci è costata non poco. La brillantezza delle formule e la inafferrabilità dei contenuti ci ha fatto temere che l’avanzamento dell’arteriosclerosi o il processo inarrestabile di decadimento neuronale avesse ormai causato danni irreversibili alla nostra cagionevole mente. Abbiamo provato a rileggerlo più volte ma nulla, il significato vero del Manifesto continua a rimanerci inarrivabile. Scomposto in singole affermazioni è difficile (molto difficile) essere in dissenso ma visto nel suo intero non è chiaro su cosa si possa consentire o dissentire. Se per un remotissimo caso, qualcuno ci chiedesse di sottoscriverlo non sapremmo cosa rispondere.

Ma, durante la lettura avvertivamo una sgradevole sensazione di fastidio della quale non riuscivamo a focalizzare l’origine. Alla fine però abbiamo capito! Nel documento, sottotraccia, ma in diversi punti ricorre un’idea, molto diffusa nella cultura politicamente corretta, molto moderna e avanzata, insomma, molto futurista, che ci mette ogni volta di malumore. L’idea che destra e sinistra siano categorie del passato, idee sepolte dalla fine del secolo breve. L’idea che con il crollo del comunismo siano crollate le ideologie, “tutte” le ideologie. L’idea che la politica moderna non sia né di destra né di sinistra. La politica buona, e la cultura buona, sono semplicemente avanti! Insomma, come diceva in modo sublime Stefano Satta Flores in “C’eravamo tanto amati”: l’intellettuale è più avanti, è più su, è più giù, egli è irraggiungibile, egli è più oltre.

E il nostro fastidio prima ancora che da un convincimento razionale nasce da un fattore per così dire “esistenziale”. Ma come, ci viene da pensare, in gioventù abbiamo scelto la difficile strada di essere anticomunisti e al tempo stesso antifascisti. Abbiamo creduto nei valori liberali anche a costo di diminuire le nostre chance di successo (già scarse di per loro) con le ragazze più carine del liceo, tutte irrimediabilmente affascinate dai veri "machi" di sinistra (soprattutto) e di destra. Abbiamo preso botte (e non solo in senso metaforico) dai neo-fascisti e dai veterocomunisti. Ed oggi, quando finalmente la Storia ci ha dato ragione, quando sono crollate le ideologie totalitarie del XX secolo, quando i valori del libero mercato e della priorità della persona sullo Stato hanno trionfato in tutto il mondo occidentale (e non solo), quando insomma ci illudevamo di poterci godere in pace un’onorata pensione tra le fila di coloro che avevano visto meglio di altri, ci vengono a dire: no abbiamo sbagliato tutto, destra e sinistra non esistono più, oggi la politica è un terreno indistinto di confronto – scontro nel quale l’unica cosa che conta è se sei avanti o se sei indietro. No, non è carino tutto ciò, non è per niente carino!

E non lo è soprattutto se la ventata di nuovismo arriva da un manipolo di reduci, per lo più provenienti dalle fila di coloro che per decenni hanno preteso di impartirci lezioncine di Pensiero Politico Profondo, un pensiero che aveva espulso la tradizione liberale come ferrovecchio della Storia. Questo è troppo! Che chi ha sostenuto idee e posizioni rivelatisi del tutto fallimentari (al punto da doversi affrettare a cambiare i nomi dei partiti di riferimento troppo legati ad ideali ormai del tutto privi di appeal per il mercato politico) possa salire in cattedra ed immaginare di insegnarci cosa sia la politica è francamente contrario ad ogni buona creanza intellettuale.

Eppoi, a ben vedere, è anche del tutto falsa l’idea che oggi destra e sinistra siano categorie del tutto inservibili per orientarsi tra i problemi della contemporaneità Non c’è bisogno di scomodare Norberto Bobbio ed il suo pamphlet “Destra e sinistra” per capire che siamo di fronte a categorie politiche che hanno natura strutturale perché relative a due valori, la libertà e la giustizia, che presentano un’intrinseca potenziale conflittualità. Così come destra e sinistra si distinguono e non possono che distinguersi sul grande tema del rapporto tradizione-innovazione, tutela dell’ordine sociale spontaneo versus creazione intenzionale di un nuovo ordine sociale. Si tratta, come è ovvio, di valori generalissimi i quali sono stati poi storicamente composti e declinati in innumerevoli modi, dando vita alle più originali soluzioni (sinistra liberale, destra illiberale, liberalismo laicista, progressismo cattolico …). E naturalmente l’esistenza di una destra e di una sinistra può determinare anche l’esistenza di un centro, più o meno equidistante. Ma, la varietà delle posizioni in campo, accentuata dalla complessità del mondo contemporaneo, non fa venir meno il fatto che comunque alla radice tutto possa essere in un modo o nell’altro ricondotto ai valori politici fondamentali.

E del resto, che si tratta di categorie ancora attuali è immediatamente evidente se solo si prova a scorrere le grandi questioni con le quali le democrazie contemporanee devono confrontarsi. Occorre ridimensionare il peso dello Stato? Le tasse sono una cosa bellissima o devono essere ridotte? Il mercato del lavoro deve essere reso più flessibile o è meglio rinforzare le garanzie e le difese per i lavoratori? I precari della scuola devono essere stabilizzati o è meglio riformare il sistema per ridurne il numero? Le decisioni sull’inizio e la fine della vita sono di assoluta ed esclusiva pertinenza del singolo individuo o lo Stato può imporre regole pensate per tutelare l’essenza stessa della natura umana? Dobbiamo accogliere qualunque cittadino straniero voglia trasferirsi in Italia o è legittimo fissare regole stringenti per disciplinare i flussi migratori? Ebbene, non siamo affatto sicuri che, nel rispondere a queste domande, sia irrilevante il sentirsi di destra e di sinistra.

Siamo ben contenti che sia tramontata l’età delle ideologie totalizzanti. Età nella quale la politica aveva spesso il carattere di confronto esistenziale fra posizioni, ciascuna delle quali aspirava all’eliminazione (anche fisica) del proprio avversario. Siamo ben lieti che oggi ci si possa sentire di sinistra ma essere su alcune questioni vicino alle idee di destra (e viceversa). Che su alcuni temi ci si possa ritrovare uniti al di là delle proprie appartenenze. Ma tutto ciò non deve tradursi in un indifferentismo politico e culturale. Il rischio è che, in nome del trionfo del nuovo, si voglia semplicemente realizzare una sorta di lavacro per quanti hanno perseguito posizioni politiche e culturali fallimentari. Lavacro che avrebbe anche la (più pericolosa) conseguenza di dare dignità culturale ad un approccio politico di pragmatismo assoluto che poi rischia di alimentare il più disinvolto protagonismo individualistico ed affarista. Il che non farebbe che alimentare drammaticamente quella crisi della politica che gli amici futuristi dicono di voler arginare.