Per riformare il welfare il governo deve puntare sulla sanità complementare

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Per riformare il welfare il governo deve puntare sulla sanità complementare

05 Agosto 2008

Con impeccabile tempestività il “Libro Verde” presentato dal Ministro Sacconi nel Consiglio dei Ministri del 25 luglio scorso apre la discussione per una rapida revisione dell’assetto strutturale del Welfare del Paese.

Vi sarà modo di tornare su singoli aspetti delle tante questioni che con grande lucidità il documento Sacconi solleva: va tuttavia subito detto che esso trova la forte condivisione di chi scrive (da oltre 15 anni Presidente di Assoprevidenza, centro tecnico nazionale di previdenza e assistenza complementari) anche per il ruolo centrale riconosciuto, in campo pensionistico e sanitario, alle realtà di secondo pilastro, chiamate a virtuosamente giustapporsi ai trattamenti offerti dal sistema pensionistico e dal sistema sanitario di base, per la migliore tutela previdenziale complessiva dei cittadini.

Proprio sull’assistenza sanitaria complementare – nelle more della discussione e del confronto sul “Libro Verde” –  il Ministero può già assumere utili iniziative.

Va infatti ricordato che la materia dell’assistenza sanitaria integrativa, nello scorcio estremo della passata Legislatura, ha trovato nuovo impulso con l’emanazione di due provvedimenti: l’art. 1, comma 197, della l. 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria per l’anno 2008) e il Decreto del Ministro della Salute 31 marzo 2008.

Ancorché entrambi i provvedimenti sembrino muoversi nel solco del d. lgs. n. 502/1992 (così come modificato dall’art. 9 del d. lgs. n. 229/1999), di fatto ne avviano – come da sempre fortemente auspicato da Assoprevidenza – il superamento. Ciò, con particolare riferimento alla  cervellotica distinzione fra i c.d. “fondi doc” e “fondi non doc”, dicotomia che perde di significato alla luce della previsione di un’unica normativa di riferimento per tutte le forme di assistenza sanitaria integrativa, sia sotto il profilo fiscale sia sotto il profilo “civilistico”, avuto riguardo alla definizione degli ambiti di intervento.

Nel dettaglio:

– l’art. 1, comma 197, della l. n. 244/2007  stabilisce un unico limite annuo di deducibilità, di Euro 3.615,20, per i contributi versati dal lavoratore e/o dal datore di lavoro a fondi integrativi del Servizio sanitario nazionale istituiti o adeguati ai sensi dell’art. 9 del d. lgs. n. 502/1992 (così come modificato dall’art. 9 del d. lgs. n. 229/1999) o ad enti o casse (aventi esclusivamente fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o di regolamento aziendale) e – dato di novità positivo – società di mutuo soccorso. Lo stesso comma, peraltro, subordina la deducibilità dei contributi alla condizione che le citate forme operino negli ambiti di intervento indicati dal Ministro della salute, con apposito decreto. In tal modo, oltre a realizzare l’unificazione dei precedenti diversi regimi fiscali, il provvedimento in parola sancisce la “stabilizzazione” del regime stesso, sino ad ora soggetto a conferme annuali, nell’ambito delle leggi finanziarie;

– il Decreto del Ministro della Salute 31 marzo 2008 (nel seguito, semplicemente “Decreto”) definisce gli ambiti di intervento dei fondi sanitari in maniera uniforme, indipendentemente dalla tipologia.

Quanto in precedenza sommariamente descritto palesa, peraltro, un’ambiguità di fondo: il non aver voluto espressamente affermare il definitivo superamento del quadro normativo dettato dal citato art. 9, come invece appare indicare il “Libro Verde”, nell’ambito della definizione di un disegno organico del sistema, funzionale ad una risposta efficace al fabbisogno sanitario dell’utenza.

Fermo restando l’indicata prospettiva, vi è tuttavia la necessità di un immediato intervento del Ministero competente, volto, ad assicurare l’ordinata continuità operativa delle realtà di assistenza sanitaria complementare già esistenti. Occorre cioè la tempestiva emanazione di una circolare esplicativa dei contenuti del Decreto, al fine di chiarire alcune incertezze interpretative conseguenti ad una non lineare formulazione del provvedimento.

Lo spazio a disposizione non consente un’articolata e motivata disamina circa i contenuti dell’auspicata circolare.

Basti sottolineare che l’indicato intervento interpretativo ministeriale dovrebbe:

–  chiarire in maniera univoca come le forme di assistenza sanitaria non istituite o adeguate ai sensi dell’art. 9 del d. lgs. n. 502/1992, non siano tenute, sino al 2010, ad alcun adeguamento, poiché il comma 3 dell’art. 1 del Decreto autorizza la prosecuzione delle prestazioni sin qui da esse erogate in base ai relativi dettati statutari e/o regolamentari. Fino ad allora, gli ambiti di intervento ammessi ai fini dell’accesso al beneficio fiscale restano quindi quelli già previsti dalle forme di assistenza sanitaria complementare esistenti, secondo il proprio ordinamento interno;

– confermare esplicitamente la possibilità di continuare a porre in essere nuove forme di assistenza sanitaria di secondo pilastro anche al di fuori delle previsioni di cui all’art. 9 del d. lgs. n. 502/1992. Allo stato, infatti, non si ravvisano ostacoli a tale fattispecie, né di tipo teorico né applicativo, poiché, eccettuato il rispetto degli ambiti di intervento indicati nel Decreto, nessun ulteriore requisito (ad es. in termini di struttura operativa minima) è previsto ai fini tributari per le forme di cui alla tipologia indicata.

Considerata poi l’enfasi posta dalla nuova disciplina nei riguardi delle prestazioni odontoiatriche e l’interesse (non necessariamente positivo) che tale profilo sta riscuotendo nel settore, sarebbe sin da ora opportuno che l’invocata circolare ministeriale richiamasse con forza l’attenzione sulle necessità che forme di contenimento sistematico dell’inerente spesa (convenzionamenti) vadano sempre responsabilmente accompagnate da precise cautele circa il rispetto di standard minimi di qualità e di affidabilità da parte delle strutture dentistiche convenzionate.