Rebus da fecondazione artificiale: figli di due padri, per la Corte d’Appello di Milano sono gemelli, ma non fratelli
03 Gennaio 2017
E vai con l’utero in affitto. Nichi Vendola e il senatore piddino Del Giudice saranno felici: la Corte di Appello di Milano ha fatto un altro passo verso la totale legittimazione della cosiddetta “maternità surrogata”, consentendo la trascrizione di un atto di nascita di due bambini nati con l’utero in affitto da padri diversi, ma dalle stesse due mamme, una che ha fornito (ovviamente dietro compenso) gli ovociti, e l’altra che ha portato (sempre dietro compenso) il bimbo in grembo. Ormai si sa, la legge 40 è stata totalmente stravolta; lo ha fatto la Corte Costituzionale, introducendo la fecondazione eterologa, e anche se la surroga è ancora formalmente vietata, a nessuno importa più niente di applicare il divieto. Figuriamoci dopo l’approvazione della legge sulle unioni civili, quella che Renzi continua a sbandierare come una conquista di civiltà e come una delle (poche) cose che resteranno del suo governo.
Quella legge infatti, con il comma 20, delega lo sdoganamento dell’adozione gay e dell’utero in affitto alla magistratura, che puntualmente esegue. Non si contano ormai le sentenze che riconoscono a posteriori atti di nascita fatti all’estero, in cui il padre o la madre non esistono, e i bimbi risultano figli di una coppia dello stesso sesso; o sentenze che applicano la cosiddetta stepchild adoption, formalmente stralciata dal testo sulle unioni civili. Ma in questo caso c’è di più. Qui non si tratta solo del commercio di parti del corpo femminile, gravidanze in affitto, bambini prenotati e commissionati in cambio di denaro: si tratta di pazzesche sperimentazioni sulla filiazione e la parentela. Perché i due uomini hanno evidentemente voluto fare “come se” si trattasse di una nascita naturale, e per questo hanno inventato, e purtroppo messo in atto, una formula di parentela innovativa.
Nella sentenza i due bimbi vengono definiti “gemelli”. Eppure gemelli non sono, e non si sa bene come definirli. Sono in realtà fratelli per parte di madri (al plurale, visto che sono state assoldate due donne per la maternità) e nulla, ma proprio nulla, per parte dei padri (anche questi al plurale, visto che ciascuno dei due fratellini è figlio biologico di uno dei due partner). Perché questo incrocio complicato? Perché la coppia gay voleva che ci fosse un legame di sangue tra loro e i bambini, ma anche tra i due bambini, come accade nella filiazione naturale, in cui i figli di una coppia sono fratelli. Questo, però, non è possibile con due papà diversi. E allora hanno garantito che il rapporto fraterno si realizzasse attraverso le madri, scegliendo una stessa “donatrice” di ovociti, e una stessa donna per la gestazione e il parto di entrambi i bimbi.
E’ difficile persino dare un nome ai rapporti di parentela così assemblati; l’unica cosa certa – e orribile – è che le donne continuano ad essere usate come corpi in vendita, i bambini come oggetti sul mercato, e la fecondazione artificiale come un modo per soddisfare i propri desideri di genitorialità senza rispetto per gli altri esseri umani coinvolti. La magistratura ha scelto di chiudere gli occhi su tutta la faccenda, tra cui la sparizione delle madri sia dalla vita dei bimbi sia dall’atto di nascita – in cui non compaiono – in nome dell’abusato concetto di “bene superiore del minore”, concetto che troppo spesso serve a coprire qualunque nefandezza sulle modalità del concepimento e della nascita.
Anzi, i giudici fanno di più: pur di far passare in qualche modo come normale l’assurdità di questa parentela e della sentenza che la legittima, fanno ricorso a una spiegazione parascientifica, affermando che “la comunità scientifica ha registrato vari casi, sia pure pochissimi al mondo, di gemelli nati da ovuli della stessa madre, fecondati con lo sperma di uomini diversi”.
Si dice che sono gemelli, e che la parentela è data, sia pure in forma anomala, grazie al seme paterno, per non dire, più semplicemente, che sono fratelli, cioè geneticamente legati alla stessa mamma. Ma questo i giudici non potevano dirlo, altrimenti avrebbero dovuto nominare le madri, che invece devono essere negate e cancellate. E così si ricorre persino ai rarissimi casi di ovuli della stessa donna fecondati da seme diverso. Insomma, l’eccezione che si può produrre in natura serve a mascherare la follia di una sperimentazione “in vivo”, frutto soltanto dei desideri di due persone, abbastanza ricche, e abbastanza spregiudicate, da comprare la realizzazione di quei desideri.