Sulle riforme Veltroni tace e D’Alema manovra

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Sulle riforme Veltroni tace e D’Alema manovra

14 Luglio 2008

C’è da augurarsi che l’alterigia con cui il Pd ha respinto il progetto di riforma dei regolamenti parlamentari presentato dal Popolo della Libertà sia stata solo una frettolosa e momentanea reazione a caldo. In caso contrario, saremmo di fronte ad un esempio di irreversibile autolesionismo. Non siamo infatti così ingenui da immaginare che il Pd potesse accogliere tutte le proposte avanzate, nonostante esse prevedano tra l’altro la formalizzazione di uno statuto dell’opposizione e il riconoscimento del governo ombra quale espressione della minoranza maggiormente rappresentativa; ma è evidente che liquidarle con disprezzo chiudendo preventivamente la porta ad ogni confronto, da parte di Veltroni e dei suoi vorrebbe dire liquidare innanzi tutto se stessi e il senso della propria operazione politica.

La sterzata che il PdL propone di imprimere al funzionamento dell’assemblea parlamentare, infatti, da una parte rafforzerebbe il governo conferendogli anche nella forma quel ruolo guida del processo legislativo che la svolta maggioritaria del 1994 gli ha già assegnato nella sostanza: da qui, ad esempio, l’idea di prevedere la presentazione di disegni di legge in via prioritaria, che oltre a dare maggior peso all’esecutivo in Parlamento salvaguarderebbe quest’ultimo dall’abuso della decretazione d’urgenza cui abbiamo assistito negli ultimi anni. Da qui, nella stessa direzione, la proposta di conferire al governo una rilevante voce in capitolo nella definizione dei calendari d’aula. Da qui, infine, l’introduzione del voto bloccato sul singolo articolo come alternativa al voto di fiducia sull’intero provvedimento.

Accanto a tutto questo, e specularmente, oltre ad un rafforzamento delle garanzie, si propone di attribuire alla minoranza maggiormente rappresentativa la funzione sostanziale di "governo in attesa", con tutte le prerogative formali e istituzionali che ne conseguono e che le permettano di candidarsi a succedere al governo in carica grazie alla propria capacità propositiva e non al potere d’interdizione. Va in questa direzione l’idea di formalizzare in uno statuto le attribuzioni di un’entità – l’opposizione, appunto – che gli attuali regolamenti neanche nominano se non in via del tutto incidentale. E, soprattutto, l’intenzione di riconoscere, attraverso l’istituzione di un capo dell’opposizione, la formalizzazione del governo ombra e l’attribuzione dei relativi poteri aggiuntivi, le prerogative di chi al di fuori della maggioranza ha raccolto il maggior consenso. Non si tratta di menomare in alcun modo l’attività degli altri gruppi di minoranza; si tratta, più semplicemente, di attribuire più forza ad una opposizione parlamentare che si qualifichi come soggetto alternativo alla maggioranza nell’ambito di un sistema tendenzialmente bipolare.

Si tratta, insomma, di “veltronismo” puro! Per questo lo sdegno mostrato dal Partito democratico lascia a dir poco perplessi. Se la memoria non inganna, fino a poco tempo fa, prima che entrassero in funzione certe sirene eversive, anche il Pd si diceva convinto che le scelte di sistema compiute dagli elettori il 13 e 14 aprile dovessero tradursi in architettura istituzionale. Per raggiungere questo risultato si può certo discutere non solo dei contenuti, ma anche delle priorità: se, cioè, si debba partire dalla modifica dei regolamenti o sia più opportuno cominciare con la revisione della seconda parte della Costituzione. Ma quel che è certo è che Walter Veltroni deve decidere se vuole ancora essere della partita, visto che in un periodo che sembra lontano anni luce a questo disegno ha sacrificato parte della stabilità interna al suo partito e una rilevante quota di quel quasi-unanimismo che inizialmente, almeno in apparenza, aveva circondato la sua leadership. E deve decidere in fretta.

Il tavolo convocato per oggi da Massimo D’Alema ha l’obiettivo legittimo di reintrodurre al centro di un sistema politico fondato su partiti forti la logica delle coalizioni. La volontà di riscrivere il patto tra leadership carismatica  e struttura partitica è anche al centro della fondazione del PdL. Proprio per questo, però, l’orizzonte tedesco di D’Alema appare inadeguato e superato dalle dinamiche che i cittadini con il loro voto hanno messo in atto. Il PdL, dunque, sarà interlocutore attento ma non arrendevole e, soprattutto, non disponibile a ritorni al passato. Ci si augura che nel dialogo che oggi si avvia Veltroni torni a fare la sua parte, contribuendo ad allargare gli orizzonti della linea politica che oggi verrà esposta. La quale, anche se in alcune parti non piace, ha certamente un pregio agli occhi di chi è consapevole della difficoltà di riformare l’Italia a prescindere dall’interlocuzione tra maggioranza e opposizione: quantomeno è una linea.