In Canada vincono i valori della società occidentale
05 Aprile 2007
Tre settimane fa, sul sito www.magna-carta.it, avevamo raccontato del manifesto degli abitanti di Hérouxville, un piccolo comune della provincia del Québec, in Canada. Questi si rivolgevano ai nuovi e potenziali immigrati, informandoli che nel loro villaggio vigono le libertà di espressione e di comportamento del mondo occidentale. A Hérouxville, nessuno è obbligato a mettersi in maschera o a portare un’arma a scuola; nessuna palestra femminile deve tappare le sue finestre; a scuola si può anche insegnare biologia ed evoluzione. E, tanto per chiarire bene il concetto, a Hérouxville una donna può guidare l’auto, firmare assegni, votare, ballare, decidere, parlare e vestirsi come vuole (“Canada: un modello liberale per vivere la multiculturalità”, 6 marzo 2007)
Avevamo scritto che, nel suo piccolo, il manifesto di Hérouxville significava la fine di un’epoca per una provincia la cui vita politica era stata dominata dalla rivalità tra comunità francofona (la stragrande maggioranza) e comunità anglofona fin dal 1760, anno della conquista britannica del Canada francese. Tale rivalità, che aveva avuto in tempi recenti i suoi momenti di punta nei due referendum secessionisti (1980, 1995), ci pareva essere passata in secondo piano rispetto alle minacce rappresentate dai nuovi fondamentalismi religiosi. Che cosa sono, insomma, le soperchierie degli “anglais”, di fronte agli attacchi pericoli portati al cuore dei principi democratici e liberali su cui si basa la società occidentale dal nuovo fondamentalismo, soprattutto quello di matrice islamica?
Abbiamo avuto una conferma della nostra idea dal risultato delle recentissime elezioni che si sono svolte nella provincia del Québec (26 marzo). Se il Partito Liberale (più o meno l’equivalente del Partito Democratico statunitense) è rimasto maggiorario (crollando però da 72 a 48 deputati), il Parti Québécois (quello indipendentista) è anch’esso notevolmente sceso (da 45 a 36 deputati). Chi ha davvero vinto è stato il partito più giovane, l’Action démocratique du Québec, che è saltato da 5 a 41 deputati, scalzando i poveri indipendentisti, che ormai la secessione se la sognano (sempre che l’abbiano davvero voluta), dal secondo posto che dava loro la veste di Opposizione Ufficiale.
Ma ciò che è davvero interessante è che l’ADQ è un partito conservatore tanto in politica economica quanto in politica estera, non lontano dalla filosofia neoconservatrice di Stephen Harper, il primo ministro federale canadese. Harper, non lo si dimentichi, partito anni fa da posizioni che in Italia definiremmo “leghiste”, si sta dimostrando per ora il miglior primo ministro canadese degli ultimi anni. E sia Dumont che Harper (al di là della lingua che parlano), sono apertamente schierati con il Presidente americano George W. Bush. Pur rivendicando l’autonomia e la differenza del Québec, insomma, Mario Dumont, il leader dell’ADQ, ha vinto su una piattaforma che mette in secondo piano i vecchi conflitti anglo-francesi, per concentrarsi sulla condivisione dei valori occidentali a tutti i livelli. Il ruolo dell’ADQ sarà ora tanto più importante in seno al governo della provincia, in quanto il primo ministro liberale, Jean Charest, è ora costretto a mettere in piedi un governo di coalizione a due, cosa che nel Québec non succedeva dal 1878.
Per finire, alcuni sassolini mediatici. Chi parla e scrive di Canada e di Québec farebbe bene a informarsi un po’ meglio per evitare almeno ovvietà, per non dire errori marchiani. Paola Bernardini (La Repubblica, 28 marzo), scrivendo da Toronto (fonti: Globe and Mail e CBC?), ci racconta che a “Quebec City” (parola che non esiste nella nostra lingua, come se alle Olimpiadi invernali avessero scritto “Turin City”) si è svolta una battaglia tra “separatisti” e “autonomisti” la cui posta era l’unione con il Canada. Una spiegazione che poteva andare bene, forse, negli anni ottanta.
Ségolène Royal, candidata alla presidenza della Repubblica Francese, appoggia pubblicamente il candidato del Parti Québ