
Sugli Uber Files la sentenza l’ha già scritta il Guardian

12 Luglio 2022
Le sentenze non le scrivono i giornali e se Uber ha “violato leggi e regolamenti sui taxi” la giustizia farà il suo corso. Idem se ha ingannato la polizia, sfruttato i suoi conducenti e strumentalizzato manifestazioni violente. Colpiscono due fatti però nella vicenda degli Uber files, che hanno già messo alla sbarra la classe politica di mezza Europa. Mentre le forze politiche nazional-stataliste si preparano a sfruttarla per mettere una pietra sopra ogni idea di concorrenza, deregulation e innovazione tecnologica.
La prima questione è il solito latrato populista contro il lobbismo. I lobbisti vengono sempre dipinti come una specie di criminali incalliti capaci di irretire e manipolare presidenti, ministri e governi. Il che dimostra quanto sia necessario, perlomeno a casa nostra, chiudere prima possibile una riforma che legittimi il lavoro dei portatori di interesse.
Certo, se dagli Uber files emergeranno illeciti, i politici coinvolti (Macron è accusato di aver dato udienza a Uber quando era ministro in Francia) e quelli che poi sono diventati ‘investitori strategici’ della compagnia dovranno dare spiegazioni alla opinione pubblica dei loro Paesi e nel caso ai magistrati.
Ma come fa il Guardian a scrivere che Uber avrebbe “corteggiato con discrezione primi ministri, presidenti, miliardari, oligarchi e baroni dei media”, detto così non significa niente. Non è che siccome qualche manager dalla whatsappata facile scrive dei messaggi in chat (“siamo fottutamente illegali”, siamo dei ”pirati”), vuol dire che c’è il gombloddo globale di Uber. La piovra della mobilità digitale sui governi mondiali. O che gli episodi di violenze anti Uber nelle manifestazioni come è avvenuto in Francia possano essere legittimate.
I lobbisti fanno il loro lavoro e se c’è un interesse a rendere qualche settore più moderno, profittevole e concorrenziale non si capisce perché bisognerebbe crocefiggerli. La seconda questione riguarda invece il riflesso pavloviano anticapitalista per cui se una multinazionale sa espandersi in tutto il Pianeta, nel caso di Uber 43 miliardi di dollari con 19 milioni di viaggi effettuati ogni giorno, allora di per sé bisogna frenarla, regolamentarla e colpirla appena se ne vede la opportunità.
Il tema ancora una volta è, al netto degli scandali presunti, come cambia con la trasformazione digitale il nostro modo di vivere, di lavorare, di generare profitti. Le piattaforme digitali come Uber danno a tutti la opportunità di lavorare in libertà, tutte le ore che uno desidera farlo. Senza contratti collettivi, senza turni, senza sindacati o salario minimo (Scholz lo aveva proposto in Germania).
Si può anzi si deve discutere e riflettere sul cambio di paradigma che la tecnologia ha imposto nel mercato del lavoro, e siamo ancora all’inizio, distruggendo vecchie sicurezze e competenze, nei trasporti come in qualsiasi altro settore. Se c’è da normare, normiamo. Se c’è da processare, aspettiamo le sentenze.
La BBC ha ricordato che Uber è una delle aziende “più controverse” della Silicon Valley. È stata “perseguitata da casi giudiziari, accuse di molestie sessuali e scandali di violazione dei dati”. Però non si può buttare via il bambino della innovazione tecnologica, dei nuovi lavori, della trasformazione digitale, con l’acqua sporca.
Per dire, gli NCC in Italia non sono Uber. Ma non si capisce perché in passato sono state varate norme per decretarne il rientro in rimessa dopo ogni servizio e la possibilità di escluderli dai centri urbani attraverso delle ordinanze. Queste leggi che passano in sordina cascano giù dal cielo o c’è qualche lobby e qualche politico che si impegna per raggiungere il risultato di bloccare ogni forma di concorrenza?