L’Asia non isola la Russia ma critica duramente la NATO

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L’Asia non isola la Russia ma critica duramente la NATO

18 Settembre 2008

Negli ultimi anni la SCO (Shanghai Cooperation Organization) ha via via conquistato la scena politica del continente euroasiatico, ricoprendo un multiforme (e talvolta ambiguo…) ruolo da protagonista, capace di consolidare successi a livello regionale e di riscontrare interesse tra gli altri attori internazionali, non mancando, talvolta, di suscitare anche reazioni indispettite. Gli analisti si interrogano periodicamente sulla natura, le prerogative e le finalità dei suoi membri, concludendo con toni ora perplessi ora scettici. In particolare, l’appuntamento annuale del vertice dei capi di Stato e di Governo sollecita alla sua vigilia una ridda di ipotesi sui potenziali argomenti di discussione, per poi lasciare, alla conclusione dei lavori, una scia di riflessioni controverse su esiti e prospettive. Il recente vertice di Dushanbe in Tagikistan non ha smentito questa consolidata tradizione, tanto più che si è svolto in un periodo di forte e pesante attività russa nella complessa area caucasica. 

Scaturita dall’efficace esperienza dei negoziati per la soluzione delle dispute confinarie ereditate dalla disgregazione dell’Unione Sovietica, la SCO conta dal 2001 (anno della sua costituzione) Russia, Cina, Kazakhstan, Kyrghizstan, Tagikistan ed Uzbekistan quali membri a pieno titolo; Mongolia, Pakistan, India ed Iran quali osservatori; Nazioni Unite, Interpol, Asean, Eusasec ed altre Organizzazioni regionali ed internazionali come partner; intrattiene inoltre un “dialogo” con l’Unione Europea. Dal 2002 ha costituito un “Gruppo di Contatto” con l’Afghanistan; dal 2007 anche il Turkmenistan, rompendo il suo abituale isolamento, partecipa quale “ospite” ai vertici annuali dei capi di Stato e di Governo. L’Organizzazione nasce con finalità di sicurezza legate al mantenimento dell’equilibrio regionale (da intendersi soprattutto come preservazione dei regimi esistenti), condizione essenziale per il perseguimento delle molteplici attività di cooperazione in ambito economico, energetico, politico, culturale, militare, di intelligence, di lotta al traffico di stupefacenti e di razionale utilizzo delle risorse idriche della regione. 

Ne emerge il quadro di un’Organizzazione dalla struttura snella ed essenziale, costituita da un nucleo di membri che condividono obiettivi comuni nei quali trovano la garanzia della propria esistenza e la possibilità di instaurare relazioni privilegiate per una proficua cooperazione reciprocamente vantaggiosa. In particolare, per Russia e Cina la SCO rappresenta un efficace strumento per disciplinare il co-dominio sullo spazio centroasiatico, attraverso la realizzazione di un particolare equilibrio di interessi ed ambiti di cooperazione bi e multilaterale. 

Data la natura della SCO non dovrebbe stupire il mancato schieramento dei suoi membri in favore del riconoscimento dell’indipendenza delle Repubbliche di Abkhazia ed Ossezia Meridionale, che ha scatenato l’interesse degli analisti occidentali. Alla luce dei principi ispiratori della SCO, infatti, l’azione è stata meditata e posta in essere dalla Russia a tutela di propri interessi di sicurezza comunemente percepiti come “legittimi” da tutti i membri dell’Organizzazione. Né, tantomeno, Medvedev avrebbe potuto chiedere ai suoi partner nella SCO di pronunciarsi nettamente in favore di istanze indipendentiste, dal momento che la lotta contro il separatismo è fin dalle origini, insieme a quella contro il terrorismo e l’estremismo religioso, uno dei più sentiti impegni della SCO. Consapevole di questo, il presidente russo da un lato ha rimarcato nel proprio discorso ufficiale la giustezza della propria azione e dall’altro ha ottenuto che nella dichiarazione finale del vertice di Dushanbe i sei auspicassero la soluzione dei problemi esistenti nel Caucaso in modo pacifico, attraverso il dialogo, la riconciliazione, l’applicazione dei principi stabiliti nell’accordo del 12 agosto, l’appello alle Nazioni Unite, sottolineando, soprattutto, che i membri “support the active role of Russia in promoting peace and cooperation in the region”. 

Ecco dunque smentiti quanti avevano gridato all’isolamento della Russia, al suo fallimento di potenza regionale nello spazio euroasiatico: tutt’altro! La posizione condivisa dai membri della SCO coincide con la visione russa: alla dichiarazione di Medvedev di voler adottare nel Caucaso “the same responsible approach in the region that we have always taken…confident that the position of the member states of the SCO will receive appropriate international support” è corrisposto il riconoscimento a tale ruolo. Benché tale auspicio sia sembrato disatteso agli occhi di quegli analisti occidentali che hanno registrato il “fallimento” e “l’isolamento” della Russia nel mancato riconoscimento delle Repubbliche di Abkhazia ed Ossezia Meridionale da parte dei membri della SCO, va tuttavia rilevato che dal punto di vista dello “stile” e della “prassi” dell’Organizzazione l’atteggiamento dei membri non delude affatto le aspettative russe. E’ pur vero, infatti, che la dichiarazione finale contiene un deciso smacco alla coalizione schierata al fianco della Georgia e all’Organizzazione politico-militare, la NATO, alla cui membership essa tende, che va ben oltre un circoscritto riconoscimento di indipendenza. La dichiarazione finale critica pesantemente l’inefficacia della missione ISAF in Afghanistan, colpendone al cuore il prestigio ed il preteso ruolo di risolutore della complicata situazione afgana. Inoltre, se da un lato i membri sottolineano che molte sono ancora le minacce che provengono da quel martoriato Paese, auspicando un più incisivo ruolo di ISAF in coordinamento con il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, dall’altro essi reiterano il proprio interesse a cooperare attivamente con Stati, Organizzazioni regionali o internazionali allo scopo di creare “a wide partnership network on counteraction against the threats of terrorism and narcotics”. 

A conti fatti sembrerebbe proprio che lo scandalo da più parti gridato si possa considerare privo di fondamento: la Russia, che tra l’altro avrà la presidenza della SCO fino al vertice di Ekaterinburg del prossimo giugno, ha ottenuto non solo il riconoscimento di un ruolo di pacificatore nella regione caucasica, ma anche l’aspra e condivisa critica alla gestione da parte della NATO della crisi afgana. Sul piano della sicurezza regionale ciò segna chiaramente le priorità della SCO: un efficace contenimento della principale fonte di instabilità regionale, l’Afghanistan, eventualmente realizzata attraverso la partnership mirata con attori internazionali che condividono il medesimo obiettivo. E se una tale dichiarata apertura portasse persino ad una partnership mirata proprio con la NATO? Si tratterebbe senz’altro di una soluzione a dir poco originale, paradossale e di rottura rispetto a certe impostazioni ideologiche dure a scomparire, ma gli effetti potrebbero essere esponenzialmente positivi.