Il dato sul Pil cinese è drogato come il latte alla melamina

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Il dato sul Pil cinese è drogato come il latte alla melamina

Il dato sul Pil cinese è drogato come il latte alla melamina

13 Ottobre 2008

La Cina non è affatto immune alla crisi finanziaria. La borsa di Shanghai ha continuato a registrare perdite nella misura dell’8,79% la settimana scorsa. Venerdì Shanghai segnava un ribasso del 3,6%, sabato del 3,57% e apre oggi con un -3,4%. Stamani, quella cinese era una delle uniche due borse asiatiche (assieme a quella di Taipei) a risentire degli effetti benefici dei piani di salvataggio delle banche annunciati per l’Europa e gli Usa.

Non è bastato, insomma, l’intervento della banca centrale: la Banca Popolare si è adeguata alla tendenza di tutte le altre banche centrali asiatiche e l’8 ottobre ha ridotto i tassi di interesse di 27 punti base, il primo taglio negli ultimi 6 anni, per rilanciare i consumi e gli investimenti. Il 9 ottobre, il direttore generale del Fondo Monetario Internazionale, Dominique Strauss-Kahn ha riassunto così la situazione per la potenza est-asiatica: “Non sarà immune alla crisi finanziaria globale, ma il suo tasso di crescita rimarrà molto alto”. E ha suggerito a Pechino di proseguire nella sua trasformazione dell’economia, puntando su una produzione alimentata dalla domanda interna.

E’ precisamente questa la strada che il regime della Repubblica Popolare intende perseguire. Sono state scartate come utopistiche e anti-economiche le idee di “salvataggio dell’Occidente”, suggerite, tra gli altri, dal magnate delle telecomunicazioni messicano Carlos Slim. Zhou Xiaochuan, direttore della Banca Popolare, ha smentito le voci sull’intenzione di Pechino di acquistare 200 miliardi di buoni del tesoro americano per sostenere Washington. “Il mio dovere è quello di mantenere la stabilità” ha affermato in risposta a queste voci. Il primo ministro Wen Jiabao ha dichiarato che il “contributo più importante” della Cina per il mondo è il “mantenimento di una crescita stabile e sostenuta”. Il che significa incentivare gli investimenti e i consumi interni. L’11 ottobre, il vice-governatore della Banca Popolare, Yi Gang, si è anche lasciato andare a un po’ di retorica contro il mondo capitalista e “disordinato”: “La mancanza di una sorveglianza efficace di questi Paesi e l’assenza di disciplina di budget hanno condotto a un eccesso di liquidità e a flussi di capitali disordinati – ha dichiarato Yi Gang a Washington – questo provoca difficoltà per gli altri paesi che cercano di preservare la loro stabilità economica e la loro crescita”.

L’idea di una potenza asiatica con un miliardo e mezzo di abitanti che continua ad aumentare la sua produzione mentre il resto del mondo è destinato alla recessione (come ventilato il 9 ottobre da Strauss-Khan) può far pensare all’apocalittico “tramonto dell’Occidente”. Un fenomeno di cui si sta continuando a parlare dagli anni ’90, da quando la Cina si affacciò seriamente nel mercato mondiale. Ma l’idea di un sorpasso economico cinese è ancora fantapolitica e possiamo dormire sonni tranquilli.

Prima di tutto la crescita a doppia cifra cinese è ai limiti della menzogna, quantomeno è da considerarsi un errore di calcolo. Uno studio della Banca Mondiale, effettuato la scorsa primavera, svelava l’arcano: il Pil cinese, misurato a parità di potere d’acquisto dei dollari americani, è del 40% inferiore rispetto a quello stimato fino all’anno scorso. Il che vuol dire che, nelle nostre stime sulla crescita cinese, abbiamo sempre visto un’ombra gigantesca, che in realtà è il riflesso di un nano. Il Pil reale cinese è infatti la metà di quello americano. Considerando che gli americani sono circa 250 milioni, mentre i cinesi sono un miliardo e mezzo, il Pil pro-capite cinese è ai livelli di quello di un qualsiasi Paese del mondo in via di sviluppo. Circa 300 milioni di cinesi (un quarto della popolazione) vivono con meno di 1 dollaro al giorno, dunque al di sotto della soglia di povertà. La produzione è sicuramente in crescita, ma i bassissimi standard qualitativi, oltre che a un’ingerenza a tutti i livelli del regime, iniziano a farsi sentire. La crisi del latte alla melamima è il primo sintomo evidente in tutto il mondo: il regime, per non perdere la faccia durante le Olimpiadi, ha volutamente taciuto lo scandalo per tutto il mese di agosto. Con il risultato che decine di migliaia di bambini sono finiti in ospedale con una grave intossicazione e le esportazioni di prodotti caseari cinesi sono crollate del 60-70% rispetto al 2007. Questo errore, da solo, costa ai cinesi 16 miliardi di euro e il rischio della perdita di 3 milioni di posti di lavoro. E questo scandalo non ha ancora fatto a tempo a uscire dalle pagine di cronaca, che già ne inizia un altro: 450 persone avvelenate dall’acqua all’arsenico a Hechi.

La Cina, insomma, è un Paese che, sicuramente, manterrà un tasso di crescita molto alto e sarà in grado di attraversare la crisi senza subire un tracollo generale. Ma non aspettiamoci la nascita di una grande potenza in grado di “salvare” l’Occidente e redimerlo dal “malvagio” capitalismo.