Hu Jintao vola a Cuba e Pechino insidia Washington nel Sud America

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Hu Jintao vola a Cuba e Pechino insidia Washington nel Sud America

21 Novembre 2008

Sono giorni di grande attivismo per Hu Jintao in America, da Nord a Sud, ma i giornali italiani non se ne sono praticamente accorti. Eppure il presidente cinese ha messo a segno un colpo vincente dopo l’altro, muovendosi con la solita accortezza sulla scena internazionale, con passo felpato ma anche in grado di lasciare impronte profonde.

Tutto è cominciato a Washington una settimana fa. Hu è stato tra i protagonisti più attesi al G20 organizzato per affrontare la crisi finanziaria. Ancora con addosso l’etichetta – ormai inadeguata – di Paese emergente, la Cina, che produce il 6 per cento del Pil mondiale e rappresenta addirittura il 20 per cento della crescita del 2008, ha chiesto "maggiore visibilità" nelle scelte economiche mondiali e di "unire gli sforzi" per risolvere la crisi. A dar man forte a Pechino c’erano India, Russia e Brasile, gli altri membri del cosiddetto Bric.

Come se non bastasse, mercoledì da Oriente è giunto un altro segnale inequivocabile. La Cina è diventata, infatti, la prima nazione straniera in possesso di titoli del Tesoro americano, per un valore di 585 miliardi di dollari. Ha preso il posto del Giappone, sceso a 573,2 miliardi. Dopo il successo, soprattutto di immagine, incassato a Washington, Hu Jintao è volato in America Latina, per proseguire un lavoro (politico ed economico) che parte da lontano e soprattutto vuole portare la Cina molto lontano.

Al di là dei legami storici con Cuba, che risalgono ai tempi di Mao e del comune credo comunista, il governo di Pechino negli ultimi anni si sta muovendo laddove, fino a poco tempo fa, erano di casa gli Stati Uniti. Senza trascurare il ruolo di primissimo piano nella zona della Russia, Pechino e Washington si stanno contendendo la leadership in America Latina.

Lo schema attuato dalla Cina è identico a quello applicato in Africa, altra area nella quale la rivalità con gli Stati Uniti è molto accesa. Semplificando brutalmente, il governo di Pechino, quando interviene nei due continenti, non ha mai da eccepire sull’interlocutore di turno. Sia che si tratti del regime sudanese o della dittatura castrista, gli affari sono affari.

Ma questa "indifferenza" politica, unita a un linguaggio sempre in sintonia con le esigenze dei Paesi in via di sviluppo, produce i frutti desiderati. La Cina, infatti, firma accordi in serie per sfruttare le materie prime di cui scarseggia, a  cominciare dal petrolio, in cambio offre supporto tecnico, sanitario, di infrastrutture e, quando richiesto, di armi.

Il copione si è puntualmente ripetuto in questi giorni. Lunedì Hu Jintao è stato per la prima volta in Costarica, portandosi dietro una delegazione di 100 uomini d’affari. Ha firmato 11 accordi di cooperazione e ha posto le basi per un’intesa di libero scambio, che dovrebbe partite nel 2010. Poi è volato a Cuba, dove ha scattato qualche foto ricordo con i fratelli Castro convincendoli a vendere alla Cina, a prezzo vantaggioso, zucchero e nichel. L’Avana, dal canto suo, riceverà una sistemata al debito estero e a qualche ospedale sull’isola.

Il viaggio del presidente cinese si è concluso a Lima. Cina e Perù hanno appena siglato un accordo di libero scambio: Pechino comprerà materie prime di grande valore (rame, zinco, acciaio), contemporaneamente esporterà a basso costo i suoi prodotti. L’anno scorso il commercio bilaterale tra Cina e Sudamerica è stato di 100 miliardi di dollari. In futuro crescerà molto di più, con buona pace degli americani.