Sugli sgravi “verdi” il governo fa confusione
04 Dicembre 2008
Ha ragione Giulio Tremonti. “I crediti di imposta – ha detto il ministro dell’Economia – non sono e non possono essere un bancomat”. Il ricorso a sgravi fiscali in assenza di copertura, ha aggiunto, è “incivile”.
Altrettanto incivile è, però, la retroattività delle norme: una posizione che lo stesso Tremonti aveva espresso in passato e che ha ribadito ieri in audizione alla Camera, socchiudendo le polemiche scatenate dalla misura contenuta nel decreto legge anticrisi, che avrebbe fatto venir meno la detraibilità del 55 per cento delle spese sostenute per la riqualificazione energetica degli edifici. Uno spiraglio resta tuttavia aperto, perché il ministro ha sottolineato che il provvedimento resterà valido per il futuro, proprio mentre la titolare dell’Ambiente, Stefania Prestigiacomo, annunciava un emendamento con lo scopo di farlo decadere interamente.
Lo scontro, che ha visto le associazioni ambientaliste muovere guerra al governo, nasconde almeno tre temi distinti. Il primo è relativo, appunto, all’effetto retroattivo che il cambiamento avrebbe avuto, e che giustamente verrà cancellato. Persone e aziende avevano intrapreso investimenti, spesso importanti, sulla base di un dato set di regole, che esso fosse giusto oppure no. Il venir meno del credito d’imposta avrebbe fatto sballare tutti i conti, col risultato di lasciar fregati quanti, in perfetta buona fede, avevano deciso di utilizzare i loro risparmi per rendere più efficienti le loro abitazioni, e magari non lo avrebbero fatto se costretti a pagare il costo pieno.
La seconda questione riguarda l’opportunità, particolarmente in periodo di vacche magre, di sussidiare il solare termico, le caldaie a condensazione e altri impianti legati all’efficienza e al risparmio energetico. Si può scegliere se dare, a questo problema, una risposta netta o una più sfumata.
Nel primo caso, delle due l’una: o si ritiene che si tratti di “marchette” a imprese che, in assenza delle agevolazioni, non starebbero sul mercato, o si pensa che tutto ciò che può vantare un’etichetta verde sia per ciò stesso meritevole di sostegno. Nell’altro, sarebbe probabilmente opportuno distinguere tra quegli interventi che possono ripagarsi da sé, e che forse hanno qualche titolo per essere sostenuti da un credito d’imposta, e quelli che, invece, prosperano solo in presenza di una legislazione favorevole.
Questi ultimi sono difficilmente giustificabili, tanto più che – anche nell’ottica di per sé molto discutibile di un loro supporto in termini di politica industriale – gran parte del vantaggio andrebbe a favore di imprese straniere che si sono specializzate nelle attività di “rent seeking”.
Ma un tema ancor più generale è quello delle modalità di azione del governo e del messaggio che, per l’ennesima volta, è passato. Inserendo nel decreto una norma che è stata poi parzialmente smentita da Tremonti e apertamente avversata da Prestigiacomo, l’esecutivo ha dato la sensazione di aver preso le sue decisioni alla rinfusa, senza un’adeguata valutazione del contenuto di tali scelte e delle loro conseguenze – con l’unico esito possibile, cioè la retromarcia. Peggio ancora, come ha scritto la “Staffetta Quotidiana” in un commento giustamente acido, “Se si mettono in fila il principio su cui si basa la Robin Tax, la minuziosa certificazione da produrre per avere la Social card e, ora, gli aggravi burocratici previsti dal Dl anti-crisi, sembra emergere un’ansia di intrusione, di controllo da parte dell’amministrazione statale nei confronti dei cittadini e delle aziende”.
C’è modo e modo di fare le cose, e c’è tempo e tempo per scandire i cambiamenti. Modi e tempi sbagliati rischiano di portare dalla parte del torto chi, nonostante tutto, sta tentando di fare la cosa giusta.