La borsa vola ma non è detto che sia un buon segno

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La borsa vola ma non è detto che sia un buon segno

09 Dicembre 2008

 

Ieri le borse di tutto il mondo hanno segnato rialzi vicini alla doppia cifra e tutti gli analisti di mercato attribuiscono questa performance al varo del piano anticrisi da parte del Presidente eletto Barack Obama: in sintesi, investimenti in infrastrutture ed aiuti alle case automobilistiche. Se questa interpretazione è vera, nuvole oscure si addensano nei cieli del mondo.

Il vero rischio dell’attuale crisi economica infatti, non è probabilmente insito nella crisi stessa, ma nei rimedi che si stanno mettendo in atto e nelle interpretazione che ne sono conseguite.

Pruriti neo-keynesiani stanno permeando e tornano ad infettare l’opinione pubblica mondiale. Come morti viventi anche negli Stati Uniti, i keynesiani stanno uscendo dalle loro tombe, evidentemente non sigillate a dovere, e supportati, in alcuni casi, da qualche residuo sostenitore delle economie socialiste (in questo caso le tombe dovevano essere gettate in mare), stanno riprendendo in mano le redini dell’economia mondiale.

Nella vana, ahimè, speranza di non morire keynesiani, cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Tutti sanno, ma nessuno lo dice, che l’attuale crisi è figlia di quella politica di espansione monetaria (Keynes, ricordate?) messa in atto dall’amministrazione Clinton negli ultimi anni del secolo scorso. Un’ecumenica (loro dicono solidale) illusione che tutti possono avere tutto a debito, senza nessuna garanzia, una sorta di deregolamentazione delle aspirazioni di ciascuno, finanziata con i soldi della Cina, esportando strumenti di finanza tanto creativa, quanto irresponsabile. Pompare la domanda, illudendo il consumatore che può avere una casa senza avere un dollaro, senza avere un lavoro, senza rischio tanto se non ripaga, non ci rimette il capitale, che non ha messo, ma al massimo la casa che non ha mai pagato.

Cosa c’entra in tutto questo il libero mercato, la concorrenza (anche quella selvaggia), la libertà di ricercare le proprie opportunità mettendosi in gioco, rischiando del proprio. Cosa c’entra la globalizzazione con i mutui sub-prime, la possibilità di scambiare in tempo reale merci, comunicare, fare affari. Cosa c’entra il liberlismo con gli squali di Wall Street o i banchieri di Lehmann con il libero mercato.

Non parliamo poi dell’Europa, dove i burocrati “socialdemocratizzanti” della BCE hanno prosciugato le nostre tasche e azzerato la crescita, inseguendo il mito tutto keynesiano del controllo dell’inflazione. Quelche settimana prima dell’acme della crisi attuale, imperterriti, hanno aumentato il costo del denaro ignorando ogni segnale della crisi incipiente e ora, con l’inflazione in rapida discesa (deflazione?), stanno ancora sulle comode poltrone a Francoforte a centellinare la riduzione dei tassi d’interesse. Ma cosa bisogna fare per essere mandati a casa?

E non parliamo neppure dell’Italia. Qui il liberalismo non è mai esistito e quelli che si dicono (dicevano, hanno già cambiato idea) liberali hanno riposto da poco la falce ed il martello e la foto di Berlinguer e giocano ancora con le rendite e le clientele. Pensavano che per fare i liberali bastasse avere una banca…

A proposito, questi esaltatori del piano Obama sanno che per far fronte alla crisi, la corte del Presidente eletto, soprattutto nell’area economica, è composta quasi interamente da clintoniani: esattamente quelli che sono cresciuti esportando finanza ed illudendo gli americani che si potesse vivere al di sopra delle loro possibilità? Ma tant’è, viva Obama e il suo piano di sussidi di stato alle case automobilistiche.

Per finire, una risposta mi deve il gentile lettore (soprattutto se keynesiano). E’ più etico dare soldi pubblici ad aziende decotte, mal gestite e destinate al fallimento o lasciare che sia il mercato a decidere chi merita di competere e chi no, fregandosene della mediocrità della carità di stato?