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Dacci oggi il nostro cibo quotidiano

01 Febbraio 2009

Si è verificato ancora una volta, a proposito del libro La gola. La passione dell’ingordigia di Francesca Rigotti, uno di quei cortocircuiti che accadono quando ci si avvicina a qualcosa che ha a che vedere con la bocca, la gola, le papille gustative, la pancia, il gusto, la cucina, la fame: vale per le guide ai ristoranti, trattorie e ora addirittura caffé, insomma per tutto ciò che riguarda l’amato/odiato, onnipresente cibo. Il cibo, in verità, sembra regnare incontrastato nel nostro mondo: non c’è qualcos’altro che possa paragonarsi all’attrattiva che esercita, al disgusto che provoca, alle discussioni che suscita, alle passioni che è capace di scatenare. Trasmissioni televisive, rubriche sui giornali, chiacchiere fra amici: il cibo appare come il terreno neutro sul quale si stemperano i contrasti politici, le differenze ideologiche, il voto a destra o a sinistra. E’ capace di mettere tutti d’accordo (salvo la sottoscritta) anche su una questione epocale quale è quella del valore della civiltà americana rispetto a quella europea: la diffusione del fast food dispiace un po’ a tutti e, anche in questo caso, unifica pareri altrimenti discordi. Come negare che su questo piano la civiltà giovane d’oltreoceano si riveli davvero sempliciotta e materialista? Come anche solo paragonare una mousse o un soufflé, o anche solo una pastasciutta, all’hamburger, anche se di buona qualità? Da una parte la civiltà e il gusto, la storia e l’arte, dall’altra la mera quantità, la velocità, il cheap e l’uguale per tutti.

Così, si acquistano libri di cucina (salvo poi non realizzare nessuma delle ricette che vi sono descritte: non abbiamo tempo. Vuoi mettere l’hamburger quanto è più comodo…), si acquistano guide al cibo slow e biologico e rispettoso della biodiversità, si vanno a vedere i film che parlano di pranzi laboriosi, di cioccolato, di ingrassamenti e dimagrimenti strabilianti, si leggono romanzi che per costruire un personaggio e renderlo simpatico al lettore descrivono i loro piatti preferiti (e qui comprendiamo Rigotti quando confessa la sua predilezione per il commissario Montalbano: i buoni piatti di pesce, verdura, pasta, della favolosa cucina siciliana). Insomma, cibo, cibo e ancora cibo. Cibo esaltato, rincorso, delibato, centellinato (insieme al vino che lo accompagna per forza), ma anche demonizzato e controllato: anoressia e bulimia mostrano quanto sul cibo si scatenino reazioni che hanno a che fare con se stessi, con la propria identità, addirittura con la propria esistenza. E il profluvio di diete che sommerge noi, popolo del benessere e del sovrappeso? Che dire della Zona, della dieta punti, della dieta dissociata? Le abbiamo provate tutte: dopo qualche mese siamo sempre tornati al peso che avevamo, salvo quando abbiamo introdotto nella nostra vita un elemento costante in grado di contrastare in modo sano gli accumuli di grasso: uno sport, la palestra, la camminata quotidiana. Non sarà un caso che, in epoca di crisi, le palestre non conoscano flessioni e continuino a moltiplicarsi.

Paradosso dei paradossi: l’epoca in cui finalmente tutti hanno da mangiare (nel mondo ricco, ovviamente) è un’epoca per la quale il valore è la magrezza. “Come stai? Ti vedo bene: sei dimagrito!”: quante volte l’abbiamo detto e ascoltato! Non bisogna dimenticare, infatti, che in una parte non indifferente del mondo si muore ancora di fame. La nostra è l’epoca che, subito dopo essersi resa conto che di fame non si moriva più, è passata immediatamente a preoccuparsi dei danni del mangiar troppo o del rifiutare il cibo. Insomma l’epoca che ha trasformato il rapporto con il cibo da un inseguimento con successi alterni in una patologia, senza riuscire mai a goderselo tranquillamente, ad avere con esso un rapporto equilibrato. Forse il fatto è che non è dato esssere tranquilli, quando si tratta di passioni.

E veniamo alle passioni. Il volume di Rigotti si colloca in una miniserie all’interno della collana (rigorosamente senza note) più leggibile del Mulino (Intersezioni) dedicata appunto alle passioni. Sono già usciti, oltre a La gola, La superbia, di Laura Bazzicalupo, e L’accidia, di Sergio Benvenuto, e sono annunciati L’avarizia, di Stefano Zamagni, La lussuria, di Giulio Giorello, L’ira di Remo Bodei, L’invidia, di Elena Pulcini. In verità, le passioni al giorno d’oggi godono di buona stampa: le si racconta, le si indaga, le si loda, sostenendo che l’uomo della modernità le ha perdute, obliate, soffocate, divenendo così non un uomo senza qualità come scriveva Musil, ma un uomo senza passioni. Tutto ciò privilegia la passione amorosa e quella erotica che vi va strettamente unita, seguita dalla passione dell’ira (è stato un best seller alcuni anni fa un folle, ma utile, libro che si intitolava Donne che corrono coi lupi e che riguardava appunto il pregio insito nel tirar fuori la propria rabbia), la passione guerriera, la passione sanguinaria dei serial killer di cui sono piene cronache, programmi giudiziari in TV, libri polizieschi: oggi non si racconta un assassino o un criminale, si racconta un serial killer, una persona in cui il crimine è malattia, affezione della mente, ossessione e – appunto – passione.

Un libretto a parte nella miniserie, però, dovrebbe essere dedicato alla passione ut sic. Che cos’è infatti una passione, ci si chiede sfogliando i tre volumi già pubblicati e guardando l’elenco di quelli annunciati? E’ molte cose diverse unite da uno stesso nome. Ma, come spesso accade, lo stesso nome per cose diverse, positive e negative, patologiche o normali, antiche o attuali, finisce per confondere le idee piuttosto che chiarirle. Si notano già in questi primi tre volumi oscillazioni notevoli nella definizione di “passione”: per Rigotti è un vizio, e come tale lo ricostruisce nel passato arrivando fino a Platone; per Benvenuto è una condizione umana: quella malinconia tanto studiata negli ultimi anni e alla quale è stata dedicata una mostra di successo a Parigi, qualcosa di molto vicino alla attuale depressione; per Bazzicalupo è un atteggiamento consapevole e filosoficamente motivato che trova nella cultura occidentale fior di cultori.

Le passioni, in effetti, sono tutto questo e molto altro. Nessuno degli autori sbaglia. Ma è forse inganevole per il lettore unificare le diverse identità di “passione” sotto una stessa sigla attraente. Anche se diamo uno sguardo alla filosofia moderna (della modernità seicentesca e oltre), le passioni (definite stavolta in modo piuttosto univoco) vengono considerate in modo molto diverso da Hobbes e Descartes, da Pascal e da Hume. C’è chi con esse definisce la parte invariabile e oscura dell’essere umano, contro la quale e sulla quale la ragione deve governare, chi ritiene che vadano bandite per vivere bene e pensare rettamente, e infine chi se ne prende cura per fare dell’essere umano una persona intera.

Il volume di Rigotti è preciso, leggibile e abile come accade sempre con questa autrice che ha dedicato al rapporto fra il mangiare e il filosofare quella che, con autoironia notevole, definisce la sua Kehre, la sua svolta. La parte più curata ci è parsa quella che riguarda l’antichità, il medioevo, l’epoca moderna. Quando si arriva alla contemporaneità, i giudizi dell’autrice tendono a diventare più banali e ad appiattirsi sul luogo comune antiamericano che contrappone slow food a fast food. Come si fa a definire “geniale” il libro di Ritzer sulla macdonaldizzazione del mondo? Perché non ricordare (anche) fra gli scandali che riguardano il cibo che Carlo Petrini, inventore di Slow food, ha messo in piedi una formidabile macchina economica che – caso più unico che raro in Italia – si è tradotta in una Università tutta per lui? Lo slow food non è solo gusto, educazione alimentare e ideologia dalla parte giusta: è profitto, potere, marketing. Di molti (forse troppe) guasti alimentari viene incolpata la globalizzazione, più volte evocata a proposito della gola ai nostri giorni.

Appare nel volume una certa autoriflessività: le giuste osservazioni dell’autrice sulla debolezza del legame tra identità nazionali e modi di nutrirsi (luoghi comuni, come vengono definiti) per i quali, ad esempio, la Francia sarebbe il paese della buona cucina, e gli Stati Uniti il paese di un cibo standardizzato e con poco sapore, guidano in realtà la stessa autrice quando si volge al nostro tempo. Non ho mai ben capito che cosa ci sia di così negativo (ideologia a parte) nell’hamburger contenuto in un panino o nell’hot dog. Vogliamo mettere, rispetto all’obbrobrio di certi panini preconfezionati, di certi tramezzini surgelati, di gran parte delle pizze destinate ai turisti che invadono sempre più le città del Vecchio mondo. Sostiene Rigotti che il cibo deve essere familiare per essere giudicato buono da chi lo mangia. Certo. E’ vero però che i confini del familiare si sono molto spostati nel corso degli ultimi decenni: è un effetto ovvio della tanto citata globalizzazione. Come stupirsi che il cibo etnico sia entrato stabilmente nelle nostre abitiduni, nel nostro gusto, nel nostro “familiare”? Il ristorante cinese è ormai ovvio, il giapponese rappresenta una alternativa con meno calorie alla cena o al pranzo consumato fuori casa, l’indiano va bene per chi desideri sapori più decisi, e così via. Ognuna di queste cucine etniche deve fare i conti con le tradizioni e le abitudini culinarie del paese che la accoglie, e adattarsi a esse. E’ in questo modo che sono sempre andate le cose: è così che la cucina italiana si è diffusa nel mondo e ibridata con le altre. Le cucine, così come le culture, non sono affatto qualcosa di fisso, separato ed eterno: anche esse entrano in contatto, si trasformano, mutuano elementi dalle altre e ne cedono di propri.

In tutto questo la gola come passione, come vizio, un po’ si perde. Si parla piuttosto del cibo, del mangiare: argomento che interessa sempre tutti forse perché non possiamo smettere di farlo finché siamo in vita. Ancora una volta leggiamo di cibo, pensiamo al cibo, discutiamo di cibo. Un vizio davvero inestirpabile. Grazie a questo libro che serve a far riflettere sul cibo, sul suo significato, sul suo valore e sui suoi eccessi ieri e oggi.

F. RIGOTTI, La gola. La passione dell’ingordigia, Bologna, Il Mulino, 2008, pp. 116, euro 12.