Le tasse della Lega sugli immigrati sono incostituzionali o sbagliate
20 Gennaio 2009
La Lega Nord è diventata il partito delle tasse? Il sospetto ha cominciato a venirmi quando i suoi capi hanno lamentato l’eliminazione dell’ICI sull’abitazione principale non di lusso. Tale eliminazione, che Silvio Berlusconi aveva promesso durante la campagna elettorale per le elezioni politiche è stata una misura opportuna per la formazione dei nuclei familiari e per eliminare la discriminazione che grava sulle famiglie, che hanno comprato l’alloggio con il mutuo, il cui valore non è detraibile da quello dell’imponibile ICI.
Va annotata, fra le propensioni della Lega Nord ad una alta pressione fiscale, anche la resistenza alla abolizione delle province, che permetterebbe di contenere la spesa e la fiscalità del federalismo. Ora il mio sospetto che la lega Nord sia diventata un partito pro tasse è aumentato in relazione al proposito di istituire una tassa sul rilascio dei permessi di soggiorno per gli immigrati, che per il Ministro degli interni Roberto Maroni dovrebbe essere di 100 euro a persona e sarebbe un’ imposta di scopo, da devolvere a un fondo per il costo del soggiorno temporaneo e del rimpatrio degli immigrati clandestini.
Se coloro che chiedono il permesso di soggiorno per scopi di lavoro o di studio e per altre valide ragioni sono 1,5 milioni o 2, il gettito del fisco salirebbe teoricamente a 150 o 200 milioni. Ma gli immigrati che chiedono il premesso di soggiorno potrebbero anche diminuire in quanto per una parte di loro può essere scomodo pagare questa tassa che nel caso di moglie e a carico e tre figli risulterebbe di 500 euro annui, una cifra importante.
Come ha rilevato Vittorio Feltri, direttore di Libero, la tassa di 50 (o 100) euro per il rilascio dei permessi di soggiorno ai cittadini extra comunitari è probabilmente incostituzionale, perché non è configurata come corrispettivo per il rilascio dei permessi ma costi che riguardano gli immigrati clandestini, che tengono comportamenti opposti a quelli che chiedono un permesso. Si tratta tecnicamente di una imposta, non di una tassa per un servizio. E la nostra Costituzione, per le imposte, nell’articolo 53, richiede un collegamento alla capacità contributiva. In questo caso, non si fa riferimento ad alcuna capacità contributiva del singolo, perché non si discrimina fra chi ha una famiglia e deve quindi pagare il tributo per tutti i membri della famiglia e chi non la ha, né si distingue fra chi paga il tributo per il primo premesso, e chi chiede il rinnovo. In ogni caso un tributo di un tanto a testa, cioè di capitazione, è sicuramente privo di riferimento alla capacità contributiva perché questa riguarda i dati economici e non al mero fatto di essere una persona. Le imposte di capitazione in Italia sono incostituzionali.
Inoltre si tratta di un tributo che non colpisce tutti i residenti in Italia ma solo quelli che non hanno una cittadinanza nella Comunità europea. Si tratta pertanto di un tributo discriminatorio, in contrasto con l’articolo 53 della costituzione che non collega la capacità contributiva alla cittadinanza, ma alla residenza in Italia e al beneficio delle spese pubbliche che i residenti in Italia traggono. Non vi è una presunzione che gli stranieri, extracomunitari che soggiornano in Italia traggano dalle nostre spese pubbliche un maggiori beneficio che gli stranieri, cittadini comunitari o cittadini italiani. E il precedente che così si crea, è pericoloso. Le tasse sono come le ciliegie, una tira l’altra. E da noi le tasse di bollo e registro sono ancora un fatto ossessivo sia per la loro numerosità che per il fatto che la ragione per pagarle non è un effettivo servizio pubblico che il cittadino ottiene, ma il ricatto del rilascio del certificato o permesso che si chiede o del contatto che si vuol fare , che non diventa valido se non si paga.
Va inoltre aggiunto che l’idea del Ministro Maroni degli extra comunitari come coloro che chiedono un permesso di soggiorno in Italia è semplicistica. Fra di essi non ci sono solo le badanti di colore o gli extra comunitari che fanno i lavori umili e faticosi che agli italiani non piace fare che sarebbero particolarmente colpiti da questo tributo, e che evidentemente sono considerati come persone di seconda classe a cui si può imporre una imposta di capitazione per il privilegio di soggiornare in Italia, senza rischio di una rappresaglia burocratico-fiscale degli stati esteri, a carico dei nostri connazionali. Ci sono, fra coloro che chiedono questi permessi, anche cittadini degli Usa, del Canada, del Giappone, dell’Australia, del Sud e del Centro America. E una parte di loro sono italiani o figli di italiani che non hanno più la cittadinanza italiana. E comunque ci sono molti studenti e docenti universitari di vari paesi. E poi perché vogliamo inimicarci la Cina o l’India o il Pakistan o la Russia o la Libia o il Kuwait o i turchi e gli egiziani? Non sto dicendo che una tassa moderata, sul capo famiglia che chiede il permesso di soggiorno per sé e i familiari, ridotta nel caso di rinnovo sia ingiustificata qualora devoluta al servizio di rilascio di tali permessi. Essa potrebbe, allora, servire a migliorare tale servizio che è spesso molto scadente, per carenza di personale e comporta lunghe code per chi domanda i permessi, che si ripercuotono in perdita di tempo di lavoro e complicazioni per i dato di lavoro. E’ l’idea fiscalista del balzello per la concessione di un diritto, che si esprime in questo progetto fiscale, che appare detestabile. E ciò tanto più in quanto alla sua base c’è l’idea “astuta” di caricarlo su chi, presumibilmente, meno può protestare.
Una analoga riflessione merita un altro progetto fiscale della lega Nord: la fideiussione di 10 mila euro per gli extracomunitari che intendono aprire in Italia una partita IVA. Tale misura mira a evitare che chi costituisce in Italia una impresa, non versi poi le imposte sugli imponibili che ha dichiarato, in particolare con riguardo all’IVA. Attualmente sono diffuse le frodi fiscali per i rimborsi IVA all’esportazione: un operatore economico che ha importato un bene dall’estero e deve pagare, alla frontiera l’IVA, vende poi la merce a un esportatore con regolare fattura IVA; questi chiede il rimborso dell’IVA sugli acquisti, esibendo le fatture di acquisto ma l’importatore, nel frattempo, non ha versato l’IVA e sparisce. La cauzione potrebbe consentire di evitare le frodi attuate da operatori che avendo la cittadinanza di uno stato extra comunitario possono rendersi irreperibili nella Comunità europea senza che le polizie dei vari stati membri li possano rintracciare. Ma se questo è lo scopo una cauzione indiscriminata di 10 mila euro per ogni impresa di cittadini extra comunitari è una misura sproporzionata e vessatoria. Infatti se l’impresa ha una consistenza fisica e non è un puro indirizzo in un appartamento in affitto, il fisco in caso di mancato versamento di IVA si può comunque rivalere su di essa senza bisogno di cauzione. Inoltre l’imprenditore potrebbe fornire informazioni adeguate al suo reperimento, tramite l’ambasciata o il consolato del paese di provenienza.
Non sto dicendo che una cauzione, non necessariamente di 10 mila euro ma rapportata al volume d’affari delle imprese di extra comunitari che non siano in grado di offrire altre garanzie non possa servire nel caso di rischi particolari di frodi. Sto dicendo che la cauzione di 10 mila euro eguale per tutti è una misura priva di senso, dal punto di vista fiscale e crea un pericoloso precedente, in quanto potrebbe venire estesa poi a tutti i contribuenti. Ed aggiungo che essa è anche in aperto contrasto con gli accordi sottoscritti dall’Italia di partnenariato euro-mediterraneo fra Unione Europea e 12 paesi della sponda sud del Mediterraneo, detti paesi MED (Algeria, Cipro, Egitto, Giordania, Israele, Libano, Malta, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia ed Autorità Palestinese) e che prevedono la creazione, entro l’anno 2010, di un’area euro-mediterranea di libero scambio che comporta la caduta delle barriere doganali e le altre barriere al commercio fra gli stati in questione.