La “valanga” che ha colpito gli Usa ha seppellito il sogno di farsi una casa

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La “valanga” che ha colpito gli Usa ha seppellito il sogno di farsi una casa

05 Aprile 2009

L’America di cui ci narra Massimo Gaggi nel suo nuovo lavoro intitolato La Valanga è quella che siamo abituati a studiare nei libri di storia: quella del grande sogno, della mobilità sociale, della classe media proprietaria. La nazione che più di trent’anni fa votò il “Community Reinvestment Act”, una legge che mirava ad espandere la possibilità di avere una casa anche alle classi sociali meno agiate. La nazione di Henry Cisneros, “l’uomo dai sogni infranti” , che fu ministro per la casa e lo sviluppo urbano durante la presidenza Clinton nel 1993, e promosse la “National Home Ownership strategy” che presentava come fine patriottico e filantropico la diffusione della proprietà immobiliare.

Ma l’America che ci descrive Gaggi ha anche un altro volto, quello ideologico-fideistico che si è espresso nella politica di totale deregulation dei mercati, strategia politica sincrona del governo Bush e dalla Federal Reserve. Il detonatore originario della valanga risiede proprio nell’incontro tra queste due facce degli Stati Uniti.

La domanda di libertà espressa dai cittadini poco abbienti che ambivano al loro sogno personale di comprare una casa viene soddisfatta dall’offerta di mutui che hanno raggiunto il proprio equilibrio redditizio grazie a due elementi: i Credit Default Swaps, derivati che permettono di annullare il rischio che gli istituti di credito sopportano nei confronti di questi clienti poco affidabili; e i Collateralized Debt Obbligation, che concretizzano la possibilità da parte degli istituti di credito di cartolarizzare i mutui junk , spalmando questo rischio sul mercato e quindi di ridurlo virtualmente. L’autore cita Richard Bitner, il “primo pentito del settore mutui”, uno dei tanti broker assetati di clienti, che con l’intento di allargare il proprio portafoglio d’affari spingeva alla sottoscrizione di mutui immobiliari anche le famiglie che in gergo vengono denominate ninjna: “no incombe, no job, no asset”.

Gli istituti finanziari, abbagliati da questo carburatore a miscela infinita, hanno riempito i propri bilanci di questi prodotti “miracolosi”. Il risultato di questo volano di irresponsabilità Gaggi lo riassume nelle parole del ministro del Tesoro Henry Paulson davanti al Congresso il 18 Novembre 2008: “Le istituzioni finanziarie che nel corso di quest’anno sono fallite […] e cioè Bear Stearns, IndyMac, Lehman Brothers, Washington Mutual, Wachovia, annie Mae, Freddie Mac, e il gruppo assicurativo AIG, all’inizio del 2008 avevano un patrimonio di 4,7 trilioni di dollari”. Bruciati. Strutture debitorie con un leverage scriteriato e tonnellate di derivati infetti nei bilanci hanno messo in ginocchio i Master of the Universe. Il tutto, spiega l’inviato del Corriere, in un clima di assoluta convergenza. Le formule derivate, create dai premi nobel Merton e Scholes, trascinarono al tragico fallimento l’ hedge fund LTCM – da loro stessi fondato – già nel 1998, volatilizzando 4,5 miliardi di dollari. Fu Alan Greenspan, “il pifferaio magico” di questo sistema vorticoso, ad organizzarne il salvataggio. La sua gestione decennale del più importante organismo di regolazione economica degli Stati Uniti è stata improntata alla cieca fede nella capacità del mercato di autoregolarsi, ed ha reso tutto questo possibile.

Il risultato è un sistema economico immobile, impaurito, in balia della speculazione, senza bussola: le banche stringono i termini di pagamento, chiedono di rientrare delle loro esposizioni, chiudono le linee di credito. Non solo verso correntisti, ma anche verso clienti corporate e soprattutto, tra di loro. Il mercato è immobile, il costo del denaro è al di sotto del livello dell’inflazione, le imprese tagliano i loro investimenti: il volano del mercato si è inceppato. 

Nella seconda parte del libro l’autore ci racconta della “fine dell’economia” che ha fatto “cambiare pelle alla FED” . Ci narra della dolorosa ma inevitabile conversione del governo conservatore che a partire dal discusso Troulble Asset Relief Program e dal suo ingresso nel capitale di tutte le principali istituzioni finanziarie del paese, implementa politiche di stampo interventista e vagamente socialista. Dove andrà l’America? Secondo Massimo Gaggi il New Deal del presidente Obama, non potrà che rilanciare il capitalismo liberale, e dovrà prestare attenzione a non cedere a derive oligarchiche à la Pechino. L’equilibrio tra interventi necessari per evitare “ulteriori frane” nel mercato creditizio e la pulsione neodirigista sarà il veicolo per rifondare un sano processo di crescita ed attuare le politiche sociali di redistribuzione che sono il centro della promessa elettorale di Obama.

L’autore lascia i suoi lettori con una domanda: sarà ancora Manhattan il baricentro dell’economia mondiale? Oppure l’America facendo leva sulla sua proverbiale “voglia” rifonderà il grande sogno?