Franceschini non convince. Il giorno dopo l’addio di Walter nel Pd è caos
19 Febbraio 2009
Il giorno dopo l’addio di Veltroni, nel Pd è caos e preoccupazione. Interviste in tivvù come per Enrico Letta su Canaole 5 o Di Pietro su La7, nei quotidiani come per Prodi su La Stampa o Marini sul Corriere, oppure opinioni a freddo affidate alle agenzie come per Rosy Bindi e molti altri. la giornata, oggi, è cominciata con un susseguirsi di reazioni in vista dell’Assemblea Costituente di sabato. Ieri è stato infatti dato il via libera alla corsa di Dario Franceschini per la reggenza del partito e insieme s’è deciso di convocare un’assemblea, che però rischia di rivelarsi l’ennesimo boomerang per veltroni e per il Pd. Il motivo? La fronda contro l’operazione Franceschini potrebbe essere molto più forte ed estesa di quanto si possa pensare. Ma all’orizzonte c’è una campagna elettorale per le europee di giugno da impostare e ci sono le amministrative da organizzare.
L’ex segretario non parteciperà comunque neanche come delegato semplice all’assemblea. A quanto si apprende, avrebbe motivato la sua scelta anche ieri sera, spiegando che la sua presenza avrebbe determinato un’attenzione nei suoi confronti mentre in questo momento il Pd deve concentrarsi sulle scelte da compiere per uscire dalla crisi.
Dalle parti del centrodestra intanto, si guarda la situazione con molta attenzione. Silvio Berlusconi, bloccato stamani stamani a margine dell’incontro con il premier britannico Gordon Brown a Villa Madama, alla domanda se fosse preoccupato di non aver di fronte un’opposizione strutturata ha replicato: "No. Ormai è un’abitudine. Sono 15 anni che sono in politica e mi sono confrontato con sette leader diversi, che sono andati a casa. Arriverà l’ottavo e credo non vorrà tradire la regola della sinistra".
Ma facciamo un passo indietro. Walter Veltroni ha lasciato il Pd dopo aver investito il vice nel ruolo di “traghettatore” del partito fino al congresso di ottobre ma la scelta di un segretario reggente, che il numero due del partito accetterebbe solo con l’accordo di tutti, trova l’intesa dentro il coordinamento e un sostanziale ok dei segretari regionali però non convince tutti. La base, disorientata, chiede via web primarie subito e alcuni dalemiani (come Roberto Gualtieri) e veltroniani doc (come i fedelissimi Goffredo Bettini e Giorgio Tonini) preferirebbero un congresso anticipato ad aprile per scegliere con le primarie un vero leader in campo prima delle europee.
Immancabile, stamattina, l’affondo di Antonio Di Pietro: "La ragione per cui credo che Veltroni abbia fallito la sua missione è quella di non essersi mai risolto a essere o carne o pesce", ha detto a Omnibus, su La7, il leader di idv. "Un giorno sembrava volesse fare opposizione con me il giorno dopo faceva le moine a Berlusconi. In politica bisogna fare una scelta di campo, non è che si può stare con due piedi in una scarpa".
Per Arturo Parisi "la prima regola del partito democratico è l’articolo 1 che è scritto nel nome partito democratico: qui si vede tutto, tranne che la democrazia". A Radio3 ha spiegato come, a suo parere, la strada da percorrere sia quella delle primarie subito. "Ieri notte ho visto le agenzie prima di andare a letto che annunciavano per voce del portavoce che tutto era stato deciso. Ancora una volta – ha concluso – l’assemblea convocata per sabato era chiamata a ratificare, immagino con un applauso, una decisione che era stata già presa in qualche luogo perduto. Non è esattamente il tipo di partito che abbiamo venduto, non è il tipo di partito di cui abbiamo bisogno".
Enrico Letta (che non esclude una sua candidatura per la segreteria del Pd) preferirebbe andare al congresso subito, ma lo statuto del Pd è talmente «barocco e schizofrenico”, un “mix di masochismo e autolesionismo”, che “il percorso per andare ad un congresso è talmente contorto che durerebbe mesi». Intervenendo a ‘Panorama del giorno’, l’esponente del Pd non nasconde le critiche non solo alla gestione del partito: “Sabato – spiega – parleranno tutti gli eletti dell’assemblea costituente: sono i portatori, insieme a Veltroni, di quel volere dei 3 milioni e mezzo di italiani che votarono alle primarie. Il potere è nelle mani dell’assemblea”. Il tempo però stringe, “ci vogliono tre mesi per fare un congresso. Se è così andiamo alle europee con Franceschini e dopo facciamo il congresso”. Sulla stessa scia, la dichiarazione di Rosy Bindi che intervistata al caffè di Rainews24 ha detto: “La gravità della crisi richiederebbe non delle primarie ma un congresso vero. Ma davanti al rischio di fare un congresso finto, dominato dalla preoccupazione delle elezioni -avverte la vicepresidente della Camera- meglio rimandare il confronto al giorno dopo le elezioni europee e amministrative”.
Davanti alle due ipotesi, reggenza o congresso subito, il coordinamento del Pd ieri ha valutato che per motivi politici, più che per difficoltà organizzative, è meglio affidare il partito a Franceschini, evitando nei prossimi mesi, proprio a ridosso delle elezioni, di immobilizzare il Pd in un scontro interno tutto concentrato sulla leadership (schierati in prima linea a favore di Franceschini oltre a Veltroni ci sono Bersani, i capigruppo e tutti gli ex Ppi). Però il rischio avvertito da molti è che se non si dà subito una raddrizzata, il partito implode. E il pericolo è alto visto che non mancano occasioni per dividersi, come dimostra lo scontro di ieri tra ex Ds e ex Dl sull’esclusione di Virginio Rognoni sul Cda della Rai o ancora temi come il testamento biologico o la collocazione europea. Così, sebbene Faraceschini abbia in tasca una maggioranza apparentemente solida, dovrà fare i conti con l’ingovernabile Assemblea costituente (3000 membri) dove si rischia davvero una conta lacerante.