“Demolire la spazzatura post-bellica e radiografare il centro storico”

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“Demolire la spazzatura post-bellica e radiografare il centro storico”

12 Aprile 2009

In Abruzzo, del puzzle artistico, urbanistico e architettonico sono andati perduti migliaia di pezzi. Dispersi dalla forza violenta della Natura nella notte tra domenica e lunedì. Difficile quantificare le opere distrutte o danneggiate dal terremoto, quasi impossibile fare una stima economica dei costi della sciagura. Secondo l’Annuario 2009 del turismo e della cultura del Touring Club, il patrimonio artistico abruzzese si colloca al sesto posto tra quelli delle regioni italiane per numero di musei, monumenti e aree archeologiche statali. Il pensiero che un capitale storico di questa portata possa essere stato compromesso per sempre rende  ancora più doloroso il processo di ricostruzione. E anche da lì che si riparte ed è anche lì che sono concentrate, oggi, le attenzioni e le speranze degli esperti.

Professor Aldo Loris Rossi, lei è un architetto e urbanista, un esperto del settore. I suoi colleghi oggi sono divisi sostanzialmente su due strade da seguire: ricostruire copiando l’originale e integrare il vecchio col nuovo? Lei quale strada sceglierebbe?

La verità è che le due tesi sono complementari, anche se si scontrano con tempi troppo lunghi. Puntualmente, dopo ogni terremoto, esplode la polemica e ci si chiede se fare una nuova città o restaurare senza pensare a un’espansione. Bisogna comunque attuare due politiche congiunte di incentivi: la conservazione dei centri storici perché sono beni unici e irriproducibili (se perdiamo i centri storici perdiamo la memoria) e la demolizione della spazzatura post-bellica priva di qualità e non antisismica. Naturalmente se nelle città storiche ci sono aree in frana o aree con fratture al suolo che escludono la ricostruzione in sito si debbono poter fare dei quartieri a parte, in modo che il nuovo e il vecchio possano coesistere. Insomma, si deve analizzare la parte “intramoenia”, quella all’interno delle mura vicereali, per vedere lo stato dei singoli edifici e capire quali sono quelli recuperabili rendendoli resistenti ai fenomeni sismici. Se alcuni non sono recuperabili perché edificati su suoli franosi o su condizioni idrogeologiche non garantite, bisogna delocalizzare.

Delocalizzare pensando alle famose "new town" di cui parla Berlusconi?

Non esattamente. Il problema, in Abruzzo come nelle altre aree sismiche, va risolto mandando al macero la spazzatura edilizia e trasformando questi quartieri dormitorio in ecocittà, cioé in unità urbane a servizi integrati e ad autosufficienza energetica, quindi in sintonia con la natura. Questa è la grande sfida. In questo senso si può riequilibrare l’intera armatura urbana del Paese. Non si tratta quindi di nuove città ma di ecositi costruiti sugli stessi suoli. Sul piano edilizio il Governo mi convince, anche se mantengo qualche riserva. Non mi sono affatto scandalizzato davanti all’idea di incrementare la cubatura. Il Governo aveva però esteso l’incremento a tutto il patrimonio edilizio, io dico che non si può agire in quel modo sui centri storici perché le strutture collassano. Insomma, dico sì all’incremento volumetrico ma solo per rottamare la spazzatura post-bellica priva di qualità e antisismica escludendo i centri storici e le aree di interesse paesaggistico.

Scusi se insisto, ma è la strada che poi ha deciso di seguire il Governo: il decreto modificato ha infatti escluso le aree di cui sta parlando.

Sì. Ecco perché dico che sul piano edilizio il Governo mi convince.

Tornando all’Abruzzo, quale strada si deve seguire nell’immediato?

Adeguare e ricostruire rapidamente le case sparse. In tempi brevissimi si farebbe tornare almeno un terzo della popolazione nelle loro case. Basterebbe requisire delle baite in legno e montarle nei poderi, magari accanto ai ruderi della case crollate, dando il tempo agli stessi proprietari di sovrintendere  alla costruzione della casa. Il discorso è diverso per i centri storici dove sono assolutamente necessari i fascicoli dei fabbricati.

Cosa sono i fascicoli dei fabbricati?

Rispondo con un esempio concreto. In Giappone tutti gli edifici hanno una carta d’identità in cui sono misurati la azotemia, glicemia, il colesterolo dei singoli edifici. Noi facciamo un check-up periodico, così si dovrebbe fare anche con la casa, che è un bene che si degrada progressivamente nel tempo quindi occorre entrare nella cultura della manutenzione dell’edificio.

E chi si dovrebbe accollare le spese per una manutenzione di quel tipo?

Tutti: Comuni, Province, Regioni, Stato. E’ un problema che si deve affrontare, altrimenti saremo sempre impreparati davanti alla furia della Natura. Ognuno ha temuto che il proprio fabbricato non potesse essere idoneo e, per paura che il valore del proprio edificio si riducesse, si è preferito nascondere la testa sotto la sabbia come fanno gli struzzi.

Professore, cos’è successo in Abruzzo?

Niente si stravolgente. Non ci si deve meravigliare del terremoto perché oramai è accertato che tutto l’Appennino sale ogni anno da uno a tre-quattro centimetri. Questo significa che si creano con continuità fratture al di qua e al di là dell’Appennino, siamo quindi nella normale evoluzione geologica. Questo ha procurato un terremoto di notevole intensità. La cosa sorprendente è che sono crollati, insieme a edifici storici che non hanno le caratteristiche di antisismicità, anche gli edifici post-bellici costruiti con  garanzie di staticità severe: è questo che ha provocato il disastro.

E più in generale qual è la situazione in Italia?

Il terremoto ha rivelato che il patrimonio edilizio italiano è fragilissimo. E’ formato da 120 milioni di vani dei quali sono 30 di interesse storico. Cioè i centri storici hanno 30milioni di vani, gli altri 90milioni sono tutti post-bellici e di questi 90 milioni circa la metà danno garanzie di antisismicità (sono quelli costruiti dopo la legge del ’74). Ma quelli costruiti tra il ’45 e il ’75 non sono antisismici quindi sono a rischio: sono stati realizzati con leggi non rigorose. Voglio farle un esempio: io a Roma ho assistito a demolizioni di edifici dove all’interno del cemento armato c’era polvere rugginosa, significa che il cemento non era più armato; in alcuni casi abbiamo trovato dentro le reti di pollaio o del filo spinato perché nel Dopoguerra tutto ciò che sembrava metallico veniva infilato dentro. Se si aggiunge che dopo 50 anni il cemento armato si degrada è chiaro che si può generare il collasso delle strutture postbellliche.

Ma l’ospedale “San Salvatore” de L’Aquila, edificato appena dieci anni fa, non doveva essere a norma?

In alcuni casi magari sono stati progettati con una certa garanzia di antisismicità però nelle varie fasi di realizzazione s’è perso qualcosa.  L’ospedale in questione è stato progettato nel ’65, poi realizzato per fasi, finché è stato inaugurato un decennio fa. L’iter è stato faticoso, lungo e non organico. Alcune parti dell’edificio sono state dichiarate inagibili mentre altre sono ancora aperte.

Di chi è la responsabilità?

Questo lo accerterà la Magistratura. In generale, posso parlare della nostra cultura e del nostro sistema. Però quando in Tv ho sentito un Professore universitario, esperto di strutture, dichiarare di aver fatto un’analisi statica di un complesso pubblico di cui aveva verificato l’inidoneità, di aver mandato questa relazione agli organi competenti che non hanno risposto e neppure gli hanno pagato la parcella sono rimasto basito: è assurdo, significa che s’è preferito non guardare in faccia la realtà. Questa subcultura deve finire altrimenti, davanti a ogni terremoto, sembreremo dei primitivi che non hanno strumenti per affrontare laicamente questo problema.