Non si può più credere alla favola del posto fisso

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Non si può più credere alla favola del posto fisso

20 Ottobre 2009

Caro direttore,

alcuni mesi fa hanno riscosso una certa attenzione le attività di un gruppo di ragazzi aggregatosi spontaneamente su Facebook, "Io non voglio il posto fisso, voglio guadagnare". L’idea che aveva catalizzato l’attenzione dei media era tanto semplice quanto dirompente. Ecco un gruppo di giovani, pronti ad accettare fino in fondo le sfide e i rischi della flessibilità, perché ne comprendono appieno il potenziale. Pronti a giocarsi la partita della vita, in un mondo segnato da una crescente incertezza, cercando opportunità e non aiuti.

Ora Giulio Tremonti rilancia tutt’altro genere di valori. La triade è posto fisso, Inps e famiglia. Da un po’ di tempo in qua Tremonti cerca di declinare in salsa italiana un certo conservatorismo. Le intenzioni sono (forse) buone, l’esito è paradossale.

Se c’è un evidente nemico della famiglia come istituzione, è lo Stato sociale. Il welfare state ha progressivamente eroso gli spazi della famiglia e dei corpi intermedi, portando lo Stato a intermediare il vasto campo della solidarietà. Parafrasando Gertrude Himmelfarb, l’espansione del welfare ha fatto sì che la compassione non fosse più "un sentimento morale" quanto piuttosto un "principio politico".

La famiglia è uscita sconfitta dal confronto con lo Stato. La sua funzione educativa si è impoverita con l’avanzata della scuola pubblica e obbligatoria. I legami intergenerazionali che la sostenevano si sono sfilacciati con l’imporsi dei sistemi previdenziali pubblici. Lo Stato ha vinto promettendo l’emancipazione dei figli dai padri. In questo processo, nel mutamenti di valori delle generazioni, non ha contato soltanto il welfare. Ma allo Stato (perdonate la banalizzazione) senz’altro ha fatto comodo proporsi come unico punto di riferimento di un individuo solo, privo di quell’ancoraggio sociale che tradizionalmente la famiglia e i corpi intermedi offrivano.

Il posto fisso era la precondizione per farsi una famiglia quarant’anni fa: quando si studiava di meno, si andava a lavorare presto, ci si sposava prima (e ci si sposava verosimilmente una volta sola). Di quell’equazione, il posto fisso è l’unico termine rimasto al suo posto. Che il contesto sia irrimediabilmente cambiato, dovrebbe essere evidente.

E se il Ministro dell’Economia ha nostalgia di una famiglia "forte", a tutto dovrebbe guardare fuorché all’INPS: che invece in Italia incarna un pilastro di quello Stato sociale che alla famiglia ha dichiarato guerra.

Immaginare un "nuovo modello sociale" è certamente una sfida interessante. Ma bisogna accettare che quel modello sociale sia nuovo.

Lo Stato deve fare un passo indietro, perché quelle funzioni che esso ora svolge (male) in monopolio vengano riassorbite dalla famiglia e da altre istituzioni sociali spontanee. Bisogna anche essere consapevoli che la cultura è cambiata, che non si può conservare qualcosa che non c’è più, che le famiglie "forti" di una volta (coi loro pregi, e coi loro difetti) non possono più tornare. Chi crede di avere dei valori forti deve anzitutto trovare la determinazione di proporli, come esempio e modello di vita, agli altri. Allo Stato, si può chiedere al massimo di non mettersi di mezzo.

Chi crede che basti garantire il posto fisso per avere torme di ventenni che mettono su famiglia e figliano, o mente anche a se stesso o ha proprio sbagliato film.