Il mondo di Bauman
27 Maggio 2007
Scegliere un look piuttosto che un altro: una cosa che tutti facciamo abitualmente, e a cuor leggero, quando entriamo in un negozio e acquistiamo un abito, un paio di scarpe, uno qualunque dei beni di consumo che ci vengono proposti, quando ordiniamo un oggetto, un libro, un CD via internet. Attenzione – scrive Zygmunt Bauman in Homo consumens. Lo sciame inquieto dei consumatori e la miseria degli esclusi, Erikson, Gardolo (TN) -, questa non è affatto un’operazione innocente. Attraverso scelte che avvengono sempre fra un numero limitato di alternative si realizza la nostra inclusione in quello che il sociologo polacco chiama il “branco” e che si potrebbe definire in termini meno apertamente dispregiativi come il gruppo del quale si desidera far parte. L’adesione alle mode incarna proprio, a suo parere, l’imperativo sociale di adeguarsi al gruppo, pena l’isolamento, senza che venga lasciato al consumatore neppure un briciolo di libertà: tutto è già preselezionato, prestabilito e prescritto.
Sociologia a tinte foschissime, quella di Bauman, dove il mercato regola tutto, dove gli individui sono ridotti a insetti che fanno parte di uno sciame (quello del titolo a effetto) e dove lo spazio per la libertà di agire appare ridotto a zero. A scegliere i consumatori sono infatti obbligati, anche se nel modo limitato che abbiamo visto, e sono obbligati a farlo continuamente, per non perdere il passo con le mode che cambiano; ma non possono in realtà scegliere niente dal momento che non sono loro a decidere della moda imperante. I consumatori possono, anzi devono, solo adeguarsi: e possono adeguarsi solo scegliendo. In questo punto chiave scopriamo che – secondo questa interpretazione propria di una parte notevole degli intellettuali che riflettono sulle caratteristiche della nostra società e del tempo presente, e fatta valere proprio sulla questione dei consumi – scopriamo che scegliere, nella società del consumo, significa unicamente acquistare. I consumatori appaiono come prede della “tirannia del momento”: una serie di urgenze che si susseguono l’una all’altra senza lasciare tregua. E’ nella tregua, infatti, che l’angoscia da inadeguatezza, la riflessione sulle cose ultime, potrebbero affacciarsi come visitatori indesiderati. Invece, spendersi completamente nel lavoro, non essere disposti a dilazionare la gratificazione, vivere “rannicchiati nel presente”, adeguarsi a una moda e poi subito dimenticarla per adeguarsi alla moda successiva in un movimento incessante, sono altrettante buone strategie per fuggire dal proprio sé. Attraverso l’inseguimento continuo della moda si costruiscono sempre nuove identità, mai soddisfacenti e proprio per questo ogni volta cercate e ogni volta abbandonate per sostituirle con altre. La cultura contemporanea, in questa lettura, riesce solo a passare da una identità all’altra senza mai permanere in una identità stabile: e chiama questo libertà individuale.
Su temi che ci toccano certamente tutti da vicino, con uno sguardo che spazia di continuo dal sistema sociale nel suo complesso al dettaglio più minuto della vita quotidiana, con una attenzione costantemente puntata sugli effetti che le dinamiche sociali hanno sulle persone, con incursioni suggestive nei moti interiori di noi abitatori del mondo ipermoderno, Bauman si è costruito negli ultimi anni una popolarità anche presso lettori che non sono sociologi di professione: come non ricordare i volumi sulla solitudine del cittadino globale, sull’amore liquido, sulla voglia di comunità o ancora sulla società dell’incertezza? Chi non si è ritrovato nella distinzione fra migrante e turista? Chi non ha riconosciuto nella precarietà dei rapporti affettivi che ci toccano e ci circondano almeno un aspetto dell’amore tipico della nostra epoca?
Bauman tuttavia dà per scontate alcune affermazioni che non lo sono affatto: che la modernità contenga al suo interno i principi del male assoluto; che la libertà individuale si identifichi con la scelta obbligata fra alternative limitate e apparenti; che esista un sé autentico costretto nella estrema modernità a camuffarsi con identità mutevoli, inautentiche e fittizie; che l’uomo del mondo di oggi sia completamente modellato da un sistema più oppressivo dei totalitarismi perché attraente; che il consumo sia il simbolo e la cifra di tutto questo. Certo che la moda esprime un tratto essenziale dei nostri (e non solo nostri) tempi: ma è un fenomeno troppo importante per ridurlo a una disperata costrizione. Certo che la libertà dei moderni è per definizione sempre fragile, sempre precaria, ogni volta da difendere e riaffermare: ma è difficile ridurla alla mancanza totale di scelta. Certo una tendenza innegabile dell’uomo è quella all’imitazione: ma è possibile ridurre lo spazio della sua autodeterminazione all’alternativa secca tra la solitudine e il branco? Ed è proprio vero che oggi il branco è tenuto insieme solo dai consumi?
Se si dovesse condensare in due parole il tema di cui si occupa negli ultimi libri, dopo le opere più voluminose del passato, si potrebbe dire che Bauman non fa altro che parlare della specifica infelicità che è possibile sperimentare nella società di oggi. Forse è per questo che piace tanto.