Di avidi petrolieri, giornali disinformati, consumatori fessi e benzina alle stelle

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Di avidi petrolieri, giornali disinformati, consumatori fessi e benzina alle stelle

08 Aprile 2010

La consueta polemica pasquale tra le associazioni dei consumatori e le compagnie petrolifere segna, oggi, un deciso scarto rispetto al comune svolgimento. La stizzita risposta che il direttore del Corriere della sera, Ferruccio De Bortoli, dà a una lettera (per ora non resa pubblica) ricevuta dal presidente dell’Unione petrolifera, Pasquale De Vita, è una brutta pagina di giornalismo. Infatti, due piani sembrano sovrapporsi, a detrimento della trasparenza e della correttezza dell’informazione.

Un piano è quello in cui si inserisce, in larga misura, l’intervento di De Bortoli. Si tratta di un attacco diretto e, per quel che ricordo, senza precedenti del primo quotidiano italiano al presidente di un’associazione di categoria ("da troppi anni alla guida dell’associazione che riunisce le compagnie petrolifere"), con tanto di calembour finale: “finché c’è De Vita non c’è speranza“. Essendo una polemica evidentemente personale, di cui oltre tutto manca l’antefatto, non voglio e non posso entrarvi, fatto salvo che per notare il cattivo gusto della scelta di De Bortoli, che mette il lettore di fronte a un attacco ad alzo zero senza dargli la possibilità di giudicare chi abbia ragione, chi torto. Ma, ripeto, trovo l’aspetto personale poco rilevante e ancor meno interessante.

Quello che è rilevante è la tesi sostenuta dal Corriere, che in questo si accoda alle accuse delle associazioni dei consumatori: scrive De Bortoli che "i prezzi alla pompa si adeguano velocemente nelle fasi di aumento del greggio mentre scendono con scandalosa lentezza in quelle in cui il prezzo della materia prima cala, anche di colpo". Non so quali dati abbia De Bortoli che io non ho. Per quello che ho potuto constatare nei periodi in cui ho monitorato i prezzi (qui, qui, qui e qui) ciò non avviene o, se e quando si verifica, riflette una dinamica opposta rispetto a quello che sembra supporre De Bortoli.

Infatti, non è vero che i margini si allargano quando le quotazioni internazionali scendono: è vero che i margini si restringono quando le quotazioni salgono. Cioè, tendenzialmente la strategia commerciale delle compagnie è di presidiare i volumi, sacrificando i margini unitari, nei momenti di tensione sui prezzi, per ricuperare almeno parzialmente quando la tensione si allenta. Cioè, non è vero che le compagnie fanno profitti illeciti quando il costo greggio (in realtà, l’indice Platt’s) si riduce: è vero che gli aumenti internazionali non vengono automaticamente e interamente traslati sui prezzi alla pompa. Naturalmente questo avviene non per beneficienza ma, appunto, perché alle compagnie conviene mantenere i volumi piuttosto che i margini unitari.

Che le cose vadano in questo modo anche nei giorni attuali – e non come il Corriere sostiene – lo dimostrano almeno due fatti. Il primo: i margini lordi delle compagnie (che non coincidono coi loro profitti, in quanto includono tutte le voci di costo tranne il valore sui mercati internazionali dei carburanti) sono, nel 2010 in generale e negli ultimi giorni in particolare, inferiori alla media degli ultimi tre anni.

La seconda evidenza che mi pare utile a smentire la tesi del Corriere è tratta… dal Corriere. Scrive il quotidiano di Via Solferino, riprendendo le rilevazioni della Staffetta quotidiana: "I prezzi Agip, Api/Ip ed Esso sono fermi da tre settimane e restano circa due centesimi più bassi delle altre compagnie". Le tre compagnie in questione hanno una quota di mercato (dati 2007) pari al 50,9 per cento. Questo significa che, in media, un punto di rifornimento ogni due non alza i prezzi da tre settimane. Quindi, l’automobilista avveduto ha ampia possibilità di difendersi dagli aumenti.

Il Corriere ha preso a cuore la battaglia per il consumatore fesso, che dovendo scegliere tra due impianti, a parità di altre condizioni si precipita in quello più caro? E’ un’iniziativa lodevole: ma andrebbe rubricata come attività educational. Usarla per imbastire la jihad contro un intero settore industriale, o anche solo contro il presidente della relativa associazione confindustriale, è una piccineria piccola piccola, specie per il più grande giornale borghese d’Italia.