“Fuori i profitti dall’acqua” è solo uno slogan per sprecare di più
28 Luglio 2010
Meglio di quanto possa fare il sottoscritto, sulle pagine di questa rivista il professor Leonardo Damiani ha presentato un quadro puntuale ed esaustivo del settore idrico italiano, svelando le contraddizioni (e le strumentalizzazioni) dei promotori del referendum sulla statalizzazione dell’acqua. A nome di "Acqualiberitutti", il comitato per il No a questo referendum, invito Damiani ad essere parte attiva della nostra iniziativa politica: abbiamo molto bisogno di esponenti di quel mondo accademico che, per convinzione o appiattimento sulle posizioni di mainstream, è troppo spesso schierato su posizioni anti-mercato.
In fondo, le ragioni del sì al referendum sono la riproposizione idrica dei peggiori riflessi ideologici del nostro tempo. La prova l’ho avuta in un confronto radiofonico con uno degli estensori dei quesiti referendari. Il primo argomento che costui ha usato contro le posizioni che provavo a rappresentare è stato: “La crisi ha evidenziato il fallimento del vostro modello economico, dovete prenderne atto, sottoscrivendo in massa il referendum i cittadini italiani hanno dimostrato di averlo ormai capito”. Per ‘modello economico’ il giurista mio interlocutore si riferiva evidentemente ad una libera economia, a suo giudizio fallita durante la crisi economica degli ultimi anni.
Quella voglia di liquidare come il crepuscolo dell’economia di mercato una recessione sì profonda, ma in realtà frutto dello scoppio di una bolla determinata da nefaste decisioni pubbliche, trova nell’acqua solo un pretesto. Il dramma è che le tesi dei referendari fanno presa in un’opinione pubblica memore degli effetti di privatizzazioni approssimative e sfiduciata per le cattive performance di molti capitalisti nostrani. E allora, agli elettori-utenti dobbiamo saper offrire argomenti di buon senso e pragmatismo.
C’è da parlare dei gravi deficit infrastrutturali del settore idrico, dallo spreco di oltre un terzo dell’acqua all’assenza in buona parte del paese di buoni impianti fognari e di depurazione. E’ opportuno sottolineare come il ‘cuore’ del demonizzato decreto Ronchi sia in realtà l’affermazione del principio della gara pubblica come criterio- base per l’assegnazione dei servizi idrici, per superare lo status quo ante fatto di procedure opache per l’affidamento del servizio, magari a società miste amministrate da politici riciclati.
C’è da dire a voce alta ciò che molti sussurrano e che i promotori del referendum fanno finta di non sapere: in Italia le tariffe per l’acqua sono mediamente troppo basse – frutto di decisioni politiche di sindaci desiderosi di mostrare ai propri cittadini di non aver aumentato le bollette – e questa è la ragione per la quale mancano più di 60 miliardi di euro necessari agli investimenti di ammodernamento delle reti. Con tariffe basse, d’altro canto, slegate dal principio democratico del “chi consuma di più, paga di più”, gli italiani si concedono di lasciare rubinetti aperti o di lavare l’automobile con l’acqua potabile: comportamenti ritenuti irresponsabili altrove, certamente poco efficienti e rispettosi dell’ambiente. Ancora, l’attuale bassa qualità, reale o percepita, dell’acqua del rubinetto porta le famiglie italiane a consumare una quantità di acqua imbottigliata molto superiore al resto d’Europa (una scelta tra l’altro quasi irrinunciabile in alcune zone del Mezzogiorno).
E’ su questi temi che va spostato il piano della discussione. E L’Occidentale, che ha aderito al Comitato per il No, sarà un ottimo strumento per ‘invadere’ la rete di argomenti di buon senso. Non c’è alcuna contrapposizione tra ‘acqua privata’ e ‘acqua pubblica’: il confronto è tra chi si pone il problema di come permettere, anche attraverso l’ingresso di investimenti privati nel settore, il miglioramento qualitativo di un servizio fondamentale per la vita delle famiglie italiane e chi usa il tema dell’acqua per riciclare vecchie battaglie populiste ed ideologiche.