Il “codice Tartaglia” fa rimpiangere Dan Brown
04 Luglio 2010
di Luca Negri
Chissà se gli autori de L’ombra del Duomo hanno letto il bel reportage di Mordecai Richler, Un mondo di cospiratori. Lo scrittore canadese, più noto per La versione di Barney, vi sbeffeggiava gli “sbarellati che vedono complotti ovunque” e i giornalisti esperti nello svelar cospirazioni del governo clandestino, la “porcissima trinità: malavita organizzata, servizi segreti e grande capitale”. L’assassino di Kennedy, Lee Oswald era per costoro un burattino della Cia (dopo classico lavaggio del cervello), come il sanguinario satanista Manson, arruolato per “screditare la controcultura”.
Una trentina di pagine preziose quelle di Richler che appunto consigliamo a Matteo Pontes e Andrea Sora, firme del libretto intitolato L’ombra del Duomo (Gingko editore). Loro intenzione è far luce sull’aggressione subita dal Presidente del Consiglio il 13 dicembre scorso per iniziativa del Massimo Tartaglia armato di duomo in miniatura. Non intendono “dimostrare nessuna tesi”, “solo instillare il dubbio” sull’ipotesi dell’attentato “usato a scopi ricattatori”. Dove vadano a parare è però chiaro fin dalle loro biografie: fondatori del sito resistenzaweb.it (un nome che è tutto un programma), si dedicano a inchieste sul conflitto di interessi del Cavaliere; Sora vanta per giunta la gloriosa medaglia di addetto stampa in occasione del "No Berlusconi day". Non potevano insomma lasciarsi sfuggire una così ghiotta occasione di giocare al Watergate.
Il Caimano che ordisce per ridurre al silenzio ogni opposizione e impadronirsi del potere assoluto, è un serial con già diversi episodi di successo: l’apprendistato d’oscure malefatte nella loggia P2, il patto di sangue e tritolo con la mafia rivelato dal pentito Spatuzza, la trama nera stesa sull’Abruzzo terremotato raccontata dalla Guzzanti. Insomma, un uomo capace di simili scelleratezze che scrupoli avrebbe nell’organizzarsi un attentato per riconquistare consensi perduti? Passiamo dunque ai fatti, perlomeno a come li raccontano i nuovi eroi del giornalismo d’inchiesta con una visione un po’ distorta del paese reale.
Siamo nel dicembre del 2009, l’annus horribilis del Cavaliere sta volgendo al termine dopo la sagra dell’immondizia gossippara ed i tentativi di tirarsi fuori dai guai giudiziari con lodo Alfano o processo breve. La stampa estera è la nuova Radio Londra che avvisa gli italiani di vivere sotto una dittatura, Casini propone il Cln, Fini è calato nella parte di Badoglio, la resistenza, rifugiata non in montagna ma in Rete, lancia “una manifestazione nazionale per chiedere le dimissioni di Berlusconi” (e per dare lezioni di democrazia a quei milioni di idioti che si ostinano a votarlo).
Nel mondo di Pontes&Sora “la manifestazione è sulla bocca di tutti, ovunque, per strada”, nessuno spreca energie oratorie per clima, calcio, lavoro, donne e motori. Le adesioni fioccano e il giorno fatidico Roma è invasa dal milione di magliette viola accompagnate dai soliti Fo, Ovadia, Hack. È “la Waterloo del Cavaliere”, basta un soffio per farlo capitolare. Ma ecco il complotto: Tartaglia (con la complicità di “misteriosi personaggi”, fra i quali un microfonista, un ragazzo con sciarpa rossa, ed il ministro La Russa) getta il souvenir (che poi, ci avvertono, sparirà nel nulla); il Presidente viene portato in auto dove gli spruzzano sangue finto, esce per mostrarsi martirizzato al pubblico e viene trasportato stranamente nell’ospedale più lontano.
Gli italiani, facili a commuoversi, alla vista del Premier ferito dimenticano tutte le malefatte; Bersani, Fini, Casini, Napolitano (solo Di Pietro non ci casca) corrono contriti al capezzale del tiranno che con il “partito dell’Amore” seda ogni possibile rivolta. Le prove di questa gigantesca truffa (che vede coinvolti anche uomini della scorta, medici, RaiNews24, “Libero” e “Il Giornale”) sono riproduzioni fotografiche dei video che girano sul web, chiari al punto che ognuno può vedervi ciò che vuole. Inutile aggiungere che, come i coraggiosi giornalisti intervistati da Richler, Pontes e Sora rischiano grosso a rivelare queste scottanti verità, e sono preparati al peggio. Basta dare un’occhiata alle foto dei loro profili su Facebook: il primo saluta il mare da uno scoglio con il pugno chiuso, preparandosi al confino in qualche isoletta del Mediterraneo, l’altro mostra trionfante una copia de “Il Fatto” travagliesco accanto ai binari di una stazione ferroviaria, pronto alla fuga per combattere il regime da Parigi.