Il Brasile di Lula ha cambiato rotta e si allontana dagli Stati Uniti
04 Giugno 2010
Il Brasile sta subendo sotto il comando di Lula una preoccupante deriva politica, che lo allontana sempre più dal versante occidentale. I sogni di gloria del presidente brasiliano, desideroso di lanciare se stesso e il suo paese nell’Olimpo “di quelli che contano” prima della fine del proprio mandato, hanno preso forma nella sponda diplomatica offerta, in pool con il premier turco Erdogan, al presidente iraniano Ahmadinejad. Per la prima volta, due paesi emergenti hanno giocato la partita per la loro ascesa internazionale su uno scacchiere, quello della proliferazione nucleare in Medio Oriente, finora monopolio politico delle grandi potenze. Una regione chiave e vitale per Washington, che non può permettersi il lusso di perdere.
Dopo essersi imposto nello scacchiere regionale latinoamericano, Lula ha tessuto una fitta rete di relazioni bilaterali, al fine di ottenere un quanto più ampio sostegno per le proprie aspirazioni politiche. Come un Giano bifronte, il Brasile ha posto in marcia una diplomazia che puntava tanto verso il nuovo presidente americano Obama, quanto verso l’Iran di Ahmadinejad. Quando nel 2008 Obama vinse le elezioni presidenziali, il Brasile si propose come alleato affidabile degli Stati Uniti in un’area difficile dove dilaga l’antiamericanismo, in cambio del supporto di Washington alla candidatura brasiliana per la nomina per un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza (CdS).
Ma l’altra mano della diplomazia di Lula lavorava contemporaneamente per il rafforzamento delle relazioni con l’Iran, incubo per le ultime amministrazioni statunitensi. Con un volume d’affari di circa 1,2 miliardi di dollari nel 2009, Brasilia è riuscita a diventare tra i principali partner economici iraniani, con accordi settoriali che spaziano dall’energetico al commerciale, fino al militare. Sigillo di tale alleanza è stata la visita ufficiale di Ahmadinejad in Brasile nel novembre 2009, la prima di un presidente iraniano da più di 40 anni. L’occasione perfetta per rafforzare le relazioni economiche e ufficializzare il supporto brasiliano al programma iraniano di arricchimento dell’uranio. Preoccupato per l’allontanamento politico di Lula, Obama indirizzava una lettera al suo omologo brasiliano, pochi giorni dopo la visita di Ahmadinejad, dove esprimeva a chiare lettere la sua preoccupazione per il sospetto proramma nucleare di Teheran. Allo stesso tempo, però, la Casa Bianca ribadiva la propria fiducia nella diplomazia brasiliana, speranzosa del fatto che potesse essere l’asso nella manica statunitense per l’approvazione di nuove sanzioni ONU contro l’Iran, sulle quali da mesi lavorava la Segreteria di Stato americana.
Le tensioni latenti tra Brasile e Stati Uniti sono esplose con l’ufficializzazione il 18 maggio dell’intesa tripartisan tra Lula, Erdogan e Ahmadinejad sull’arricchimento dell’uranio. Un pugno in pieno viso per Washington. Obiettivo dell’intesa era scongiurare lo spauracchio delle sanzioni per Teheran, ma si e’ trattato anche di un modo pr affermare che nella partita della sicurezza globale nuovi Stati, come Brasile e Turchia, sono capaci di determinare, ed alterare, gli equilibri mondiali. “Un grande successo per la diplomazia mondiale, che ha rimesso il dialogo laddove c’erano solo minacce”: queste le parole di Celso Amorin, ministro degli esteri brasiliano, la mente dell’accordo, che così spiegava l’ingresso trionfale del suo paese nello scacchiere mediorientale. Le trattative con Russia e Cina per l’imposizione di nuovi sanzioni contro l’Iran, quindi, hanno dovuto subire una profonda accelerazione da parte di Washington, ma di sanzioni non se vede ancora neppure l’ombra. Accettare l’accordo tripartisan sarebbe stato infatti un smacco per Obama, dopo che gli iraniani avevano rifiutato un’offerta simile avanzata dal cosidetto 5+1 su inizitiava americana lo scorso ottobre.
La convinzione che Lula alla fine potesse diventare un partner leale dell’Occidente ha dunque subito un duro colpo visto il neonato sodalizio tra Teheran e Brasilia. Lula ritorna alle sue origini che lo vedevano fiancheggiare il fronte antiamericano in Sud America, supportare le rivendicazioni territoriali argentine sulle isole Malvinas e criticare la politica israeliana nella striscia di Gaza. Il rifiuto del presidente Obama di recarsi in Brasile, prima che Lula termini il proprio mandato presidenziale è indice del gelo diplomatico ormai sceso tra i due paesi, le cui conseguenze si potrebbero riflettere anche sulle imminenti elezioni presidenziali brasiliane, che vedono la candidata di Lula, Dilma Rousseff, contrapporsi a José Serra, governatore di San Paolo e delfino dell’ex-presidente Cardoso del partito socialdemocratico brasiliano (PSDB), che in questi giorni si è proclamato mediatore per un riavvicinamento con Washington.
La posta in gioco per Lula è molto alta: c’è in ballo la leadership brasiliana in America Latina, ma anche l’affidabilità del presidente uscente. L’essersi recato in soccorso di Ahmadinejad potra’ costare caro alla sua credibilità come potanziale futuro candidato al posto di Segretario generale delle Nazioni Unite, mandando inoltre in frantumi il sogno brasiliano di ottenere un seggio permanente nel Consiglio di Sicurezza e la sua scalata nel club dei paesi che contano.