La fiducia (sulla Manovra) dà fiducia, ma non sulle rinnovabili
16 Luglio 2010
“La fiducia (alla manovra) dà fiducia”, secondo Giulio Tremonti. Ma è così per ogni suo aspetto? Almeno nel caso delle energie rinnovabili, non sono mancati problemi e incomprensioni. L’articolo 45, nella sua versione originale, prevedeva una riforma del mercato dei certificati verdi – uno dei principali strumenti di incentivazione nel nostro paese – che ne avrebbe, sostanzialmente, dimezzato il valore, compromettendo il futuro dell’intero settore.
In risposta alle proteste dell’industria rinnovabile, fatte proprie dall’intera Confindustria, il governo ha concesso una serie di aggiustamenti che puntano a limitare l’impatto negativo. Il mondo delle fonti verdi ha fatto buon viso a cattivo gioco, riconoscendo che l’amputazione di un braccio è pur sempre meglio della perdita di due braccia e due gambe.
Ma cominciano a circolare stime preoccupanti sull’effetto reale della manovra, che potrebbe avere comunque gravi ripercussioni. A complicare la questione è il fatto che le energie pulite sono un tema “politicamente sensibile”: da un lato smuovono le passioni e i sogni di chi vagheggia un mondo carbon-free, dall’altro incancreniscono una dinamica di prezzi energetici non favorevole ai consumatori. Da qui, scontri e polemiche.
Il problema è che l’intervento a gamba tesa del governo – che ha ottenuto anche il non scontato endorsement addirittura di Repubblica, in un pezzo arrabbiato e un po’ qualunquista di Mario Pirani – mette mano a uno solo degli aspetti coinvolti. Col rischio di aprire più problemi di quanti ne risolva. La prima questione deriva dal fatto che l’Italia è soggetta a obblighi comunitari: possono piacere o no, ma ci sono e vanno rispettati.
Quindi, in qualche modo le rinnovabili devono essere sostenute. Quindi la domanda politicamente rilevante – che è diversa dal dibattito puramente intellettuale e culturale e perfino economico – non è se, ma come e quanto sostenere le rinnovabili. Il nostro paese ha incentivi tra i più alti in Europa, specie nel solare fotovoltaico, la cui portata distorsiva è stata denunciata anche oggi nella relazione annuale del presidente dell’Autorità per l’energia, Alessandro Ortis. Tuttavia, questa è solo una parte della storia: l’altra parte è che gli incentivi esagerati non nascondono solo la creazione di una rendita di posizione spesso ingiustificata, ma anche l’oggettiva esigenza di creare condizioni favorevoli in un paese complesso.
In altre parole, i costi e i tempi del processo autorizzativo (e le relative incertezze e perfino i quasi sistematici sconfinamenti nell’illegalità e nella corruzione) fanno sì, nella pratica, che per attirare un flusso di investimenti comparabile a quello degli altri Stati membri, si debbano staccare incentivi più ghiotti. La maggiore remunerazione è conseguenza dei maggiori rischi.
Dunque, ridurre gli incentivi – che risponde a un oggettivo interesse del nostro settore industriale e manifatturiero – deve essere il punto di arrivo, non può essere il punto di partenza. Bisogna prima – o, almeno, contestualmente – creare un ambiente certo e favorevole agli investimenti.
Solo in presenza di questo tipo di operazione si può intervenire al ribasso sugli incentivi (sia pure prestando attenzione a distinguere tra i nuovi investimenti e quelli pregressi, che si basavano sull’aspettativa di un certo tipo di incentivazione e hanno dovuto comunque pagare il “sunk cost”di un processo autorizzativo all’italiana). Se posta in questi termini, la revisione dei sussidi può incontrare, se non il favore, quantomeno la non ostilità della stessa industria rinnovabile italiana, che ha la necessità di trovare un suo equilibrio e una sua definizione in termini di filiera industriale, scremando i troppi avvoltoi per garantire un futuro alle aziende serie del settore.
Il problema, allora, è duplice. Da un lato la manovra, anche in questo caso come in altri, appare come il tentativo raffazzonato di intervenire in modo emergenziale ma non coerente né pienamente consapevole. Dall’altro, essa precipita il paese nell’incertezza, alimentando – anche e soprattutto al di fuori del settore delle rinnovabili – la già diffusa opinione che l’Italia non sia un posto nel quale investire.