Le accuse al “boss” di Wikileaks sono una delle contraddizioni del web

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Le accuse al “boss” di Wikileaks sono una delle contraddizioni del web

23 Agosto 2010

Cosa c’entra un’accusa di stupro, prima trapelata, poi confermata ma alla fine ritirata, con la divulgazione di documenti top-secret sulla guerra in Iraq e in Afghanistan? Apparentemente nulla. Ma se il collegamento si chiama Julian Assange, il portavoce di Wikileaks, allora non serve più la teoria del caos per capire che le accuse ad Assange sono una manovra evasiva che si inserisce in un complesso mosaico di poteri occulti.

Wikileaks è un’organizzazione internazionale che raccoglie e pubblica su internet documenti segreti per denunciare comportamenti “non etici” di governi e corporations. Perciò l’informazione s’intreccia in modo inscindibile con l’etica. E’ il ritratto di Julian Assange, giornalista, hacker ed attivista australiano che vive in giro per il mondo. Wikileaks è l’iniziativa di un gruppo di giornalisti, dissidenti, scienziati di tutto il mondo accomunati dal credere che la gente debba conoscere la verità e che il metodo migliore sia trafugare documenti segreti e pubblicarli sul web, proteggendo l’anonimato della fonte.

Oggi Wikileaks è governata da un consiglio di nove membri e funziona grazie ad oltre 1200 volontari in tutto il mondo. Unisce l’assoluta privacy sulla fonte che fornisce i documenti con la filosofia “open” di Wikipedia: tutti possono contribuire, ma spetta alla redazione vagliare e approvare. Dal 2008 ad oggi, Wikileaks ha messo a segno colpi eclatanti: i fondi neri del banchiere Julius Baer, le tecniche applicate a Guantanamo, l’operato di Scientology, le tragedie negate dell’Iraq, l’inquinamento in Africa, il 9/11, Sarah Palin, la guerra in Somalia, la corruzione in Kenya.

Lo scorso 25 luglio Wikileaks ha pubblicato la più grande quantità di documenti top secret americani sulle vittime civili della guerra in Afghanistan dal 2004 al 2009. E’ il cosiddetto “Afghan War Diary”, oltre 75.000 documenti che spalancano prospettive destabilizzanti: le forze della coalizione internazionale avrebbero ucciso centinaia di civili in incidenti mai riportati ufficialmente, mentre i talebani commettevano atrocità altrettanto se non ancor più grandi sul loro stesso popolo, sotto la protezione del Pakistan, dell’Iran e forse della Corea del Nord. Gran parte delle operazioni militari più delicate sarebbero condotte da squadre segrete all’infuori del controllo degli organi ufficiali. La tortura psicologica sarebbe una pratica quotidiana inflitta dagli americani a prigionieri segregati in galere fuori legge. Sono tutti colpi mortali che riducono la democrazia di Kabul ad una pura costruzione di carta.

Ma lo scalpore sull’Afghanistan non è finito: ad agosto Julian Assange ha dichiarato di essere pronto a pubblicare ulteriori 15.000 documenti segreti dell’ “Afghan War Diary”. Inoltre esiste un file criptato che contiene ben 1,5 giga di dati ribattezzati “Insurance File” perché pronti ad essere diffusi qualora succedesse qualcosa di sgradito ad Assange. Insomma, una specie di assicurazione. L’improvvisa accusa di un duplice stupro contro Assange trapelata da una procura svedese avrebbe potuto innescare questa reazione – se non fosse stata ritirata in maniera altrettanto fulminea. Ma in ballo ci sono ancora quei 15.000 documenti. Il Pentagono considera la loro pubblicazione altamente pericolosa per la sicurezza nazionale. Saranno davvero pubblicati integralmente? Verranno formulate nuove “accuse” contro Assange? Non è più questione di informazione. E’ uno scontro tra il potere del web di Wikileaks e il potere delle armi americane.

Ogni “colpo” di Wikileaks, ogni segreto trafugato, scatena un’operazione mediatica a fortissimo effetto virale, dentro e fuori il web. Wikileaks è addirittura considerata una nuova forma di giornalismo e persino di politica – non senza ombre. I materiali sull’Afghanistan hanno svelato le identità degli informatori locali, esponendoli ad un rischio mortale. Ma a Wikileaks interessa la propria sicurezza. Assange e compagni sono i paladini del diritto del mondo all’informazione senza censure, ma proteggere l’anonimato delle fonti significa impedire al mondo di verificare le notizie. E’ come leggere un’inchiesta senza conoscerne l’autore e doversi affidare alla garanzia del giornale che l’ha pubblicata.

L’onda mediatica di Wikileaks ha una netta valenza politica. Ma non ha, ancora, scatenato un effetto politico: gli Usa sono determinati a stroncare o neutralizzare Wikileaks e neppure la strategia per l’Afghanistan ha subito cambiamenti. Allora qual è il reale scopo dell’informazione di Wikileaks: fare politica, accusare, screditare, mettere a rischio vite umane? Se la reputazione personale di Assange è salva, per la prima volta si è macchiata l’immagine pubblica di Wikileaks.