Dopo la Faz e il Wsj anche il Financial Times mina la credibilità dell’Italia
01 Dicembre 2010
Prima la Frankfurter Allgemeine Zeitung, poi il Wall Street Journal e ora il Financial Times. Tutto come da copione, tutto largamente prevedibile. L’attacco all’Italia è partito sincronizzato. Nel giro di cinque giorni tre fra i maggiori prodotti editoriali europei hanno sferrato un attacco frontale, duro, deciso, nei confronti dell’Italia e di Silvio Berlusconi. Due gli obiettivi, uno economico e uno politico, legati a doppio nodo tra loro. Il primo: far muovere i mercati perché la loro volatilità è fonte di reddito per gli operatori. Il secondo: rafforzare le paure del mercato diffondendo ancora di più il germe dell’instabilità politica, in maniera tale da indebolire l’Esecutivo in carica colpendo direttamente il suo leader (un copione in realtà già visto con i finti scoop di Wikileaks).
Come dire, ciò che non si riesce a giustificare con argomenti economici – Italia uguale Portogallo e Spagna o Italia uguale Grecia e Irlanda – lo si insinua tirando in ballo l’instabilità politica. Offrendo peraltro il destro a chi di questa incertezza politica è causa (leggi Fli) o a chi dello spettro della crisi fa la propria bandiera elettorale per mandare a casa il Governo in carica (leggi opposizioni).
Intanto, continua a toccare nuovi record il premio di rendimento che i Btp decennali italiani pagano rispetto ai titoli di Stato tedeschi. Lo spread tra i Buoni e il Bund ieri è infatti volato a 210 punti base, segnando un altro massimo storico dall’introduzione dell’euro. E’ stato lo stesso Presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, a citare l’esempio della Spagna per rassicurare sulla volata dello spread dei titoli di Stato italiani ("noi siamo a 210 punti, in Spagna, invece, arrivano a 400 e passa", ha detto il premier) mentre il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Gianni Letta si è detto "preoccupato". Ma le oscillazioni dei Titoli di Stato, giurano gli analisti, poco hanno a che vedere con Silvio Berlusconi e con l’instabilità poltica: i fondamentali del debito italiano e delle banche sono solidi e questo è quello che conta. Checché ne dica il FT. Certo, il livello di guardia e la preoccupazione restano alti come è giusto che sia, ma l’Italia non rischia il default perché non ha ceduto alle sirene keynesiane, quindi non ha allargato i cordoni della borsa e quindi ha perseguito una politica del rigore che oggi premia.
Il filo conduttore dell’offensiva che mina la credibilità del nostro Paese è sempre lo stesso: il rischio del debito pubblico italiano e la eventualità (data in realtà come certezza) che una possibile crisi del governo Berlusconi a seguito del voto di fiducia del 14 dicembre, con le conseguenti incertezze politiche, possano mettere in dubbio il riequilibrio dei nostri conti pubblici.
E così, anche il Financial Times si accoda a Faz E Wsj e parla di "timori di contagio alimentati dai problemi della coalizione di governo", precisando che “i mercati restano preoccupati dei problemi del primo ministro Berlusconi possano portare all’incertezza politica con gravi ripercussioni al suo programma di austerità”.
Ma quello che il Ft chiama programma di austerità, ovvero il piano di rientro italiano messo nero su bianco nella Manovra è stato già approvato sul piano legislativo (vale la pena ricordare come pur essendo la Legge di stabilità in corso di approvazione al Senato non si prevedano scossoni al riguardo), quindi anche una crisi non farebbe venir meno questo andamento virtuoso (e austero) della politica di bilancio per il prossimo anno. Cosa diversa è prevedere una correzione dei conti (magari in primavera), opzione sempre più realistica, per la quale sarebbe ancora di più auspicabile una prosecuzione dell’azione di Governo.
Ma c’è dell’altro. Le condizioni oggettive dell’Italia sono infatti migliori rispetto a quelle di Spagna e Portogallo e poi di Grecia e Irlanda. Il primo punto forte dell’Italia è che il 60% del debito pubblico è posseduto da italiani. Nello specifico, il 40% è in mano alle banche e il restante 20% a privati. La percentuale di debito in mano agli stranieri è quindi molto più bassa rispetto ai vicini di casa. Prendiamo l’esempio del Portogallo, dove la percentuale di debito che non è in mano ai portoghesi è pari al 70%. Cosa significa? Semplicemente che nel caso del Portogallo i detentori esteri sono più facilmente condizionabili rispetto alla stampa estera di quanto non lo siano i detentori di debito italiano.
A questa condizione, già di per sé positiva, si aggiunge il giudizio espresso dal recente Economic Outlook dell’OCSE, che evidenzia quanto di positivo abbia fatto l’Italia in questi anni di crisi per mettere in sicurezza i conti pubblici. Nelle tabelle e nei grafici contenuti nella speciale sezione dedicata al Consolidamento fiscale, il nostro paese si differenzia nettamente dai celebri PIGS, i cui problemi allarmano i mercati finanziari in questi tempi.
Al "terrorismo" del Financial Times ha risposto il presidente dell’Abi, Giuseppe Mussari, che ha attribuito "alla speculazione di tipo violento" i movimenti dello spread fra i bpt ed il bund tedesco di questi giorni ma ha ribadito come "i fondamentali del debito italiano e delle nostre banche siano solidi". E gli analisti? Chi è dentro al meccanismo parla di nervosismo generalizzato sull’intera area euro. Neppure i problemi italiani quindi, nonostante l’approssimarsi del voto di fiducia sul governo del 14 dicembre, non sembrano essere al centro del radar dei mercati perché l’Italia ha fondamentali ancora molto buoni sia sul fronte della crescita che della finanza pubblica rispetto ad altri Paesi. Con buona pace di Financial Times&co.