L’uomo non è uno scimmione con meno peli e più cattiveria

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

L’uomo non è uno scimmione con meno peli e più cattiveria

15 Settembre 2010

Appena ratificato l’8 settembre, il documento dell’unione europea sulla sperimentazione sugli animali ha destato una buona accoglienza: si mettono limiti all’uso degli animali, e questo ci fa sinceramente piacere. Quello che però non ci torna, è la proibizione alla sperimentazione sulle “grandi scimmie”, per la loro “prossimità genetica all’uomo”. Ora, considerato che la differenza genetica tra un uomo e un gorilla non è tanto minore tra quella che c’è tra un uomo e un topo (sembra strano ma è così, a testimonianza che la differenza sostanziale non sono i geni ma “altro”), ci viene da domandarci perché certi animali debbano essere trattati meglio degli altri.

Non è una domanda pellegrina, perché noi vorremmo vedere gli stessi diritti per tutti, e non solo per gli animali “più carini”. Ma il problema sta ben oltre: il perché di questo differente trattamento non starà nell’ideologia che afferma che la differenza tra uomo e gorilla è solo di quantità di geni e non una differenza ontologica e sostanziale? Perché al mondo c’è qualcuno che ci spaccia come “cugini dei gorilla e dei macachi”, sostenendo che insomma noi siamo solo degli scimmioni con meno pelo e più cattiveria. Tutto questo, per dire poi che insomma, a noi non ci ha creati nessuno, siamo qui per caso, per un fortuito evento genetico.

Tutto questo è ancora da dimostrare: non ci spaventa, non è un attentato alla fede di nessuno, ma semplicemente è un’ipotesi ardimentosa, di cui non ci convince soprattutto la “casualità” che la domina: tolta l’idea di caso (insostenibile all’evidenza dei fatti) e di universo come vittoria continua del più cattivo (che finisce con l’avallare nei costumi), il tutto non ci sconvolge.

Ma la contraddizione in tutto questo sta nel fatto che, se devo trattare meglio il macaco rispetto al mio caro cagnolino, è perché mi somiglia di più; ma dicendo questo riconosco che l’essere umano merita di essere trattato meglio di tutti gli altri animali, cosa che esula proprio dal presupposto di una creazione casuale ed evoluzionistica dell’uomo.

Dunque i conti non tornano. Vogliono trattare i macachi meglio degli altri animali per la prossimità genetica a qualcuno (l’uomo) di cui non riescono a spiegare il vero valore.

Forse tra quelli che fanno il tifo per Cheetah, non c’è tanto il desiderio di ripararla dai cattivi sperimentatori, quanto quello di far fare un passo indietro all’idea che ogni uomo in quanto tale vale. Cosa resta? Resta che “vale” solo chi si sa far valere, cioè l’ideologia dell’autonomia, la nuova religione d’oggi, per la quale solo chi è autonomo (auto-determinato, indipendente) ha diritto di cittadinanza: sia scimmione o commendatore; chi non ce la fa da solo (disabili, bambini, anziani, e spesso le donne) “è un po’ meno uguale degli altri”; perde diritti, si deve accodare a chiedere di togliere il disturbo. Ci piace? Insomma, attenti alle confusioni facili, fatte con le lacrime invece che con la logica: gli animali meritano rispetto, ma tutti! E non per far fare un passo indietro a noi.