Ciudad del Este, il nuovo paradiso sudamericano per terroristi e trafficanti

LOCCIDENTALE_800x1600
LOCCIDENTALE_800x1600
Dona oggi

Fai una donazione!

Gli articoli dell’Occidentale sono liberi perché vogliamo che li leggano tante persone. Ma scriverli, verificarli e pubblicarli ha un costo. Se hai a cuore un’informazione approfondita e accurata puoi darci una mano facendo una libera donazione da sostenitore online. Più saranno le donazioni verso l’Occidentale, più reportage e commenti potremo pubblicare.

Ciudad del Este, il nuovo paradiso sudamericano per terroristi e trafficanti

04 Dicembre 2010

Ciudad del Este è un’isola felice d’illegalità, una terra libera in cui scorazzano terroristi e criminali internazionali. Situata nel distretto di Alto Paraná in Paraguay, con poco più di 320mila abitanti per 104 km2 di estensione, questa città è riuscita a scalare in meno di un ventennio la top ten delle dieci città più pericolose in America Latina. Una sola legge la fa da padrone: l’assenza di legge. Camminando durante il giorno per le strade di Ciudad del Este sembra di essere in una normale città latino-americana. Ma, al calar del sole, ecco che Ciudad del Este cambia volto, divenendo una “zona di libero scambio” in cui spie, narcotrafficanti, terroristi e criminali “di ogni sorta e genere” si incontrano, fanno affari e portano avanti le loro trame.

La città è divenuta il centro di gravità paraguayano e dell’intero Cono Sud, da dove si smerciano i narcotici destinati ai vicini regionali, e in seconda battuta al resto del mondo. Se, infatti, l’Afghanistan è stato a lungo considerato il principale produttore di oppio mediorientale, il Paraguay è il suo “gemello latinoamericano”, per marijuana prodotta e spacciata nel Cono Sud.

Ciudad del Este è parte della “triade dell’illegalità” sudamericana: con le città di Puerto Iguazu (Argentina) e Foz do Iguaçu (Brasile) formano la più nota Triplice Frontiera. Un magnete cui convergono i principali flussi illeciti globali. I governi dei tre paesi difendono a “spada tratta” la reputazione e “buon nome” delle loro città, preoccupati delle ripercussioni che una cattiva pubblicità potrebbe avere sul turismo locale.

Di fatto, una catena dell’illegalità, che confedera le tre città attraverso “patto criminale”. Il punto di partenza è Ciudad del Este, dove riciclaggio di armi e denaro sono le attività più redditizie, favorito dall’assenza di un controllo capillare delle forze dell’ordine sul territorio. Foz do Iguaçu è il “casello” dal quale passa il narcotraffico – principalmente, coca dal Perù e Bolivia e marijuana paraguayana: da lì, direzione Porto di Paranaguá, sulle coste atlantiche brasiliane, per “prendere il volo” verso tutto il mondo. Puerto Iguazu, per la “quadratura del triangolo”, è infine la patria del contrabbando di sigarette.

Ciudad del Este è un melting pot: in essa confluiscono flussi migratori di diversa origine, principalmente siriana, libanese, cinese e sudcoreana, che hanno dato vita a importanti e organizzate comunità. In questo mix internazionale spiccano la comunità araba, che conta oggi circa 25.000 persone, e quella cinese, di cui è impossibile fornirne i numeri. “Fantasmi che vagano per il mondo”, così è definita la migrazione illegale from Beijing. La mafia cinese e i clan che proliferano nella zona hanno fatto leva sugli scarsi controlli delle forze dell’ordine, dentro la città e nella zona di confine, per creare delle vere e proprie “autostrade delle contrabbando”. Secondo l’intelligence di Asunción, le celeberrime FARC (Fuerzas Armadas Revolucionarias de Colombia) farebbero affari con la mafia cinese in questa parte del mondo, comprando munizioni e armi; ciò grazie anche a una legislazione paraguayana molto flessibile e permissiva, in tema di compravendita e porto d’armi.

Negli ultimi dieci anni, la popolazione libanese a Ciudad del Este ha attratto l’attenzione di molti, convinti del fatto che la città paraguayana fosse in realtà avamposto di terroristi islamici. La costruzione in breve tempo di tre moschee – una in Brasile a Foz do Iguaçu e le altre due a Ciudad del Este – ha impensierito i vicini regionali, preoccupati di possibili attività di proselitismo all’interno di queste da parte dei terroristi. Ciò che preoccupa non è la presenza mussulmana di per sé, non uno “scontro di civiltà”. Ma le rivelazioni dei servizi d’intelligence, incluso il “chirurgico” Mossad israeliano, che da tempo indicano in Ciudad del Este, e nell’intera Triplice Frontiera, la tana sudamericana di Hizb’Allāh, il “partito di Dio” libanese, finanziato da Teheran, e di Hamas, il gruppo terroristico palestinese. Secondo il Mossad, infatti, la loro principale attività nell’area sarebbe il mercato del narco, grazie all’alleanza con i poderosi trafficanti colombiani; una copertura per la ben più importante ricerca di finanziatori e reclute per la jihad contro l’infedele – che in America Latina non è il cristiano, ma l’occidentale, l’americano, l’europeo o chi parteggia per loro. Una sorta di “Grande Banca”, in termini di denaro, uomini e mezzi, per i terroristi internazionali, come affermato nel 2006 dal Dipartimento del Tesoro Americano.

L’infausta notorietà internazionale della Triplice Frontiera, oggi roccaforte dell’illegalità e dell’estremismo islamico nel Cono Sud, inizia a principio degli anni ’90, poco dopo gli attentati terroristici contro la comunità ebraica in Argentina. Buenos Aires fu la prima a puntare il dito contro la Triplice Frontiera, sospettando che gli attentatori fossero stati reclutati e addestrati da una cellula terroristica legata ai servizi iraniani proprio a Ciudad del Este. Una cartina tornasole di una più reticolare presenza nell’intera regione latinoamericana di “cellule dormienti”, pronte ad essere attivate.

L’intensificarsi della lotta la terrorismo in Medio Oriente, con la caduta del regime talebano in Afghanistan e quello di Saddam Hussein in Iraq, ha costretto gli estremisti islamici a rivolgere il proprio sguardo altrove, alla ricerca “santuari” alternativi per il reclutamento e addestramento di nuovi adepti. L’antiamericanismo sbandierato da alcune correnti politiche latinoamericane ha indotto a un riposizionamento geografico del terrorismo islamico, oggi sempre più joint venture globale.