Perché quella tra acque minerali e di rubinetto è solo una finta polemica

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Perché quella tra acque minerali e di rubinetto è solo una finta polemica

15 Ottobre 2010

Ancora una volta i Media riportano polemiche sull’acqua ed ancora una volta il presupposto di partenza ha poco a che fare con la qualità dei servizi idrici.

L’acqua minerale è meglio di quella del rubinetto? A parte la composizione chimico fisica delle acque e le sue caratteristiche organolettiche, risulta complesso esprimere un giudizio secco sulla questione, che pare alimentata più da esigenze commerciali che dal desiderio di fornire un utile servizio all’utenza.

Infatti, l’accusa mossa alle acque minerali di produrre un maggiore inquinamento appare piuttosto temeraria. Come quantificare, ad esempio, il danno ambientale prodotto nella costruzione delle opere necessarie per l’approvvigionamento idrico (per esempio le dighe), lo stoccaggio e la successiva distribuzione? E come è possibile omettere il costo energetico spesso necessario per potabilizzare le acque o per sollevarle a quote compatibili con la ubicazione delle utenze? Viceversa, non è possibile sostenere la tesi opposta, dal momento che molto spesso è impossibile consumare acque prodotte in loco riducendo al minimo l’incidenza del trasporto, così come troppo spesso i contenitori “sigillati, sicuri e riciclabili” non sono esenti da critiche sia sul piano ambientale che su quello della sicurezza del prodotto.

Di contro, la posizione secondo cui le acque minerali sarebbero in assoluto migliori di quelle di acquedotto è sicuramente discutibile.

A parte la considerazione che a volte le fonti di approvvigionamento sono del tutto confrontabili fra loro ed anzi l’acqua immessa in rete può presentare qualità di pregio elevatissimo, si devono analizzare alcuni aspetti essenziali che, in un caso e nell’altro, possono influenzare la sicurezza del prodotto. A tal proposito, si può ricordare che, fino agli anni 60, gli Enti acquedottistici cercavano fonti potabili all’origine ed escludevano la possibilità di far ricorso a dighe o comunque fonti di approvvigionamento che prevedessero una potabilizzazione delle acque. Questo atteggiamento ha penalizzato il comparto potabile che, in molti casi, ha dovuto far ricorso, in tempi recenti, a risorse gestite da altri Enti (Consorzi di bonifica, ENEL, ecc.), con notevoli aggravi gestionali. D’altro canto, questa posizione, finchè è stata sostenibile, ha consentito di garantire standard elevatissimi (del tutto paragonabili a quelli delle acque minerali in commercio), tanto che la competizione sulla qualità avveniva fra i diversi gestori di acquedotto, come se si trattasse di distributori di bibite. Come per esempio tacere su alcune sorgenti (per esempio Capo Sele, che ancora alimenta gran parte della Puglia) che uniscono alla grande qualità delle acque, lo spettacolo di una natura meravigliosa che si sposa con l’ingegno umano, per rendere possibile la vita in zone aride del paese.

Oggi le condizioni sono inevitabilmente cambiate e sempre più spesso sono necessari interventi di potabilizzazione, senza che ciò comprometta la sicurezza del servizio, pur in presenza di una scarsa manutenzione delle opere della filiera di approvvigionamento e distribuzione (p. es. pulizia dei serbatoi urbani e, ancor più, condominiali). Le acque minerali sono certamente potabili alla fonte, soggette a regole di gestione ferree, quindi più pregiate e, spesso, con caratteristiche organolettiche migliori, ma non si può certo affermare che siano più sicure di quelle di acquedotto. A suffragio di questa tesi, basti pensare che i controlli in acquedotto sono continui, mentre quelli delle acque imbottigliate sono inevitabilmente a campione e non sempre è possibile seguire la correttezza di tutti i passaggi dal produttore al consumatore.

Sulla base delle precedenti considerazioni, si possono trarre alcune importanti conclusioni. Innanzitutto, schierarsi aprioristicamente dalla parte delle acque minerali piuttosto che di quelle di rubinetto, o viceversa, è sbagliato e non ha alcun fondamento scientifico. In secondo luogo, il servizio di distribuzione dell’acqua corrente va comunque tutelato poiché bene sociale essenziale e, se si può disquisire sul gusto, non è ammissibile metterne in dubbio la sicurezza dell’acqua ed i suoi effetti sulla salute.

Se quindi si escludono fondamenti scientifici, la polemica fra acque minerali ed acque di rubinetto diventa alquanto sterile: gli utenti continueranno a consumare acqua minerale per questioni di gusto, oppure sceglieranno l’acqua del rubinetto sulla base di considerazioni economiche.

In ogni caso, alla polemica aperta dalle colonne di Repubblica va riconosciuto il grande merito di aver acceso i riflettori su un semplice concetto di recente misconosciuto: l’acqua costituisce un bene economico di grande importanza e, in quanto tale, oggetto di attenzioni dal punto di vista commerciale.

Insistere sull’idea che l’acqua non possa essere oggetto di compravendita è sbagliato, anacronistico e fuorviante rispetto agli obiettivi primari dell’azione politica, che deve essere orientata a salvaguardare la funzione sociale dell’acqua.

Che senso ha promuovere un referendum che escluda i privati dalla gestione degli acquedotti quando l’acqua già da tempo costituisce oggetto di buisiness? Non sarà forse che si vuol riproporre un modello vecchio e stantio che mette in contrapposizione il sistema pubblico (che fornisce servizi in condizioni antieconomiche e di bassa qualità) con i privati (che forniscono servizi a costi elevati, ma di buona qualità)?

Rinunciare al principio di sussidiarietà nel comparto acqua è azione di miopia politica, infatti, nel tentativo di tutelare questo bene prezioso dalle attenzioni dei grandi gruppi imprenditoriali, di fatto si penalizza l’utenza, con la prospettiva certa che il servizio di distribuzione d’acqua ad uso potabile possa subire un declino tale da penalizzare oltremodo “l’acqua di rubinetto” a tutto vantaggio dell’acqua minerale.

Leonardo Damiani è Professore di Costruzioni Idrauliche e Marittime al Politecnico di Bari.