“La banda dei 4” contro la globalizzazione

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“La banda dei 4” contro la globalizzazione

25 Giugno 2007

Il 21 giugno 2007, solstizio d’estate, potrà essere ricordato negli annali come la data da cui cominciare a contare l’inizio del processo de deglobalizzazione in questo primo scorcio di 21esimo secoli.

L’evento che convenzionalmente ne dà il segnale è la riunione del Gruppo dei Quattro (Stati Uniti, Unione Europea, India e Brasile) a Postdam con la quale è stata messa una pietra tombale su quella Doha development agenda (Dda), il maxinegoziato multilaterale gli scambi in corso dal 2001 ed in pratica sospeso da qualche mese.

Il maxinegoziato (che lanciato nel novembre 2001 avrebbe dovuto risollevare l’economia internazionale dopo l’attentato alle Torri Gemelle e darle una svolta in senso liberista) si sarebbe dovuto concludere due anni fa, ma si è impantanato su vari fronti specialmente in materia di commercio di derrate agricole: nonostante le proteste del Direttore Generale dell’Organizzazione mondiale del commercio (Omc), Pascal Lamy (motivate dal fatto che i Quattro si sono arrogati un compito che sotto il profilo formale spetta ai 150 Stati coinvolti nel negoziato), se Ue, Usa, India e Brasile decidono di staccare la spina, poco possono fare gli altri per rimettere la macchina in moto. Tanto più che – quanti lo hanno presente in Europa?- il 30 giugno scade il Fast Track Act in base al quale il Presidente Usa ha la potestà di fare ratificare gli strumenti giuridici (trattato, protocolli) derivanti dal negoziato di un sol blocco e non articolo per articolo (procedura che renderebbe di fatto ogni singolo capoverso ostaggio di lobby grandi e piccole).

Sempre in occasione del solstizio d’estate, a Roma la “banda dei quattro”, ossia quattro Ministri appartenenti alla sinistra radicale  (li chiamano in questo modo, non certo elogiativo, i loro colleghi di governo) ha minacciato di mandare a casa l’Esecutivo e di bloccarne il pur modesto programma di liberalizzazione dell’economia italiana. Quanto tale programma sia piccolo, piccolo (e comporti pure dei passi indietro) lo descrive il “Quinto Rapporto sul Processo di Liberalizzazione della Società Italiana”, appena pubblicato dall’Associazione Società Libera.

Tra gli esiti della riunione del Gruppo dei Quattro riunito a Postdam e la lettera, non affatto riservata, della “banda dei quattro” nostrana c’è un nesso molto più forte di quanto non sembri ad un osservatore superficiale: tutti e due vanno in una direzione contraria all’integrazione economica mondiale ed al processo di liberalizzazione (interno ed internazionale) delle economie e delle società. Il collegamento è a tutto tondo se si riflette sui risultati del Consiglio dei Capi di Stati e di Governo dell’Ue, riunito a Bruxelles, proprio a cavallo del solstizio: si è evitata per il rotto della cuffia una nuova profonda crisi del processo d’integrazione, ma strada è ancora tutta in salita. Lo afferma pure un ineffabile ottimista come il Presidente del Consiglio italiano, Romano Prodi, il quale ha lamenta come il futuro dell’Ue sia in fase di stallo. Ancora, le due maggiori organizzazioni finanziarie (la Banca mondiale e il Fondo monetario internazionale) escono la prima da una fase complessa con la consapevolezza che ci vorranno anni per riacquistare un ruolo di prestigio, mentre il secondo si trova quasi con le casse vuote e con la minaccia che nel Bacino del Pacifico nasca un Fondo monetario asiatico che scippi gran parte del suo ruolo. Altri esempi, proprio di questi ultimi giorni, si potrebbero citare: è in atto una febbre di fusioni e concentrazioni internazionali, ma i flussi di investimenti diretti all’estero arrancano; anche se non ci sono dati attendibili sulle migrazioni internazionali, è chiaro che quasi tutti i Paesi di immigrazione netta stanno adottando politiche dirette a contenere i flussi, oppure ad incoraggiare solo quelli di professionalità (informatici, paramedici) di cui l’offerta è generalmente carente nel mondo industrializzato ad alto reddito.

Al fallimento del negoziato Omc e allo stallo del processo d’integrazione europea si risponde rilanciando accordi regionali e, in Europa, le “cooperazioni rafforzate”. Il pullulare di tali intese – sostiene Jeffrey Schott dell’Institute of International Economics in un saggio brillante – minaccia di frammentare il commercio e l’economia internazionale e di ingabbiarlo in una ragnatela simile ad un labirinto.

Le esperienze del passato insegnano che le deglobalizzazioni non portano nulla di buono: sono spesso state i prolegomeni di guerre di vasta entità. Il conflitto armato risultante dalla deglobalizzazione è già iniziato; il terrorismo ed i suoi college sono le sue avanguardie; le fiamme nel Medio Oriente sono un suo segnale concreto. E non ce ne accorgiamo.

Chi sono – chiediamoci – gli alleati della deglobalizzazione? Non sono certo i rumorosi (ma globalizatissimi) “no global”. Hanno la capacità di organizzare manifestazioni e di spostarsi in massa nei cinque continenti ma non di invertire tendenze. I veri alleati della deglobalizzazione sono quelli che, ai tempi del Kennedy Round, ossia alla metà degli Anni Sessanta, Mario Casari (Università di Padova, uno dei più acuti studiosi italiani di economia internazionale dell’epoca) chiamava i ”barracuda-esperti”, sovente alti funzionari molto vicini a settori produttivi intrinsecamente protezionisti, nonché a sindacati anch’essi sempre più ostili, in sostanza, alla globalizzazione anche quando, a parole, se ne professano favorevoli.

I deglobalizzatori anche più retrivi hanno trovato nuova nobiltà nell’atmosfera neo-colbertiana che, da qualche anno, aleggia in modo sempre meno strisciante e sempre più palese nelle cancellerie e nei Ministeri economici dei maggiori Paesi industriali. Il rallentamento economico non fa che aggravare la situazione alimentando e “barracuda esperti” e “neo-colbertiani”. Le tesi e le proposte degli alleati della “deglobalizzazione” sono tutte nella lettera a Prodi della “banda dei quattro” – testo che è stato certamente affinato (ove non redatto) con l’apporto dei “barraduca-esperti” collaterali alla sinistra radicale.

Gli alleati della deglobalizzazione sono tra noi. Ci portano verso un mondo meno prospero e meno libero. Prendiamone contezza.