Dopo la Libia e lo stop al nucleare all’Italia resta solo il gas russo
20 Aprile 2011
Secondo una analisi del centro di global intelligence Stratfor, due avvenimenti geograficamente distanti e di diversa natura, il conflitto libico ed il dossier Fukushima, avrebbero in realtà come comune denominatore l’aver portato benefici ad un Paese in particolare: la Russia. Per l’Italia invece queste due situazioni sono causa di svantaggi nel breve periodo, e porteranno Roma a volgere lo sguardo proprio verso il Cremlino.
La Federazione Russa è il più grande Paese del mondo, esteso su 11 fusi orari – dal Mar Nero al Mar del Giappone. Non fosse altro che per le dimensioni geografiche, Mosca è interessata tanto su ciò che accade a Bengasi tanto a quello che succede a Fukushima. Per il primo esportatore mondiale di gas naturale ed il secondo produttore ed esportatore di petrolio, il conflitto libico – così come le altre rivolte in Medio Oriente e nel Maghreb – è un evento che senz’altro non deve essere stato accolto con sfavore. Dall’inizio delle rivolte il prezzo delle commodities energetiche è aumentato del venti percento, permettendo alle riserve di valuta estera del Governo russo di superare quota 500 miliardi di dollari. Si calcola che la centrale di Fukushima con i suoi sei reattori producesse circa il 5% dell’energia atomica generata in Giappone: è molto probabile che nei prossimi mesi le importazioni giapponesi di gas naturale russo saliranno molto di volume.
Il Giappone, osserva Marko Papic di Stratfor, non rimarrà l’unico Paese a bussare alla porta dei russi: in Europa sia la Germania che l’Italia si rivolgeranno a Mosca per assicurare i propri approvvigionamenti energetici. Nel caso italiano, la guerra in Libia e l’incidente di Fukushima hanno portato due conseguenze immediate e dall’impatto negativo, almeno nel breve periodo. La guerra civile tra il Governo libico e gli insorti ha già causato il congelamento delle partecipazioni finanziarie libiche in società italiane, ma soprattutto mette a repentaglio gli approvvigionamenti energetici provenienti dalla Jamahiriya. Dall’inizio degli scontri, la produzione libica di petrolio è crollata ed il gasdotto Greenstream (progetto Eni, collega Mellitah a Gela) è stato chiuso. Non proprio buone notizie per l’Italia, che dipende dal petrolio nero e dal gas libici rispettivamente per un quarto ed un decimo del proprio fabbisogno.
L’incidente avvenuto a Fukushima invece ha già avuto un impatto molto forte sulle scelte di politica energetica seguite dal Governo italiano. Proprio oggi infatti il Senato voterà l’emendamento presentato dal Governo al decreto omnibus che abroga le norme previste per la realizzazione di centrali nucleari in territorio italiano. Lo stop al nucleare e la sospensione temporanea degli approvvigionamenti dalla Libia comportano per l’Italia una maggiore attenzione destinata al Cremlino, nostro partner energetico di riferimento.
Certamente, il nostro Paese vanta buoni rapporti diplomatici con Mosca, ed una più stretta relazione è senz’altro praticabile. Eppure, si sta facendo riferimento ad una maggiore collaborazione che nasce dalla necessità; quasi una ammissione di debolezza, in questo caso energetica (l’Italia è già il secondo maggior cliente europeo di Mosca per quanto concerne l’importazione di gas naturale). Se l’Italia avesse intrapreso da tempo una politica energetica coerente e lungimirante (inclusiva o meno del nucleare se ne discuta; l’importante è dotarsi di una strategia di lungo periodo condivisa e considerata priorità nazionale), non avrebbe l’urgenza di cercare nuove amicizie (leggi Kazakistan) oppure rafforzare i rapporti già in essere col fine ultimo della ricerca di approvvigionamenti energetici .
Le relazioni italo-russe vengono sovente accostate ai rapporti russo-tedeschi. Vi sono nondimeno almeno due differenze di sostanza. La prima differenza è di natura economica: Berlino è altrettanto interessata agli idrocarburi russi, ma ha avviato con Mosca rapporti economici che vanno ben oltre l’ambito energetico. L’interscambio commerciale tra i due Paesi è superiore ai 50 miliardi di dollari: solidi rapporti economici che continueranno a crescere, sospinti oltretutto da una efficiente rete governativa di supporto all’iniziativa privata (per contro, l’interscambio commerciale italo-russo è di circa 18 miliardi di dollari).
La seconda differenza concerne la politica estera. Mentre osserviamo come la Germania odierna intenda smarcarsi dalle tradizionali alleanze – Francia e Stati Uniti – e stia configurando un tentativo di collaborazione strategica con la Russia (la Cancelliera Merkel ha accolto con favore l’idea di un sistema europeo di pansicurezza proposto da Medevev, rilanciando con l’istituzione di un Consiglio politico e strategico tra Unione Europea e Russia), l’Italia dal canto suo non ha saputo capitalizzare a sufficienza il successo diplomatico ottenuto nel 2002 a Pratica di Mare (a seguito del riavvicinamento Russia – Usa tramite l’istituzione del nuovo Consiglio NATO-Russia) ed si trova sprovvista di una strategia organica di politica estera nei confronti della Russia (e dell’Europa dell’Est in termini generali).
Avremo forse necessità delle risorse provenienti dal sottosuolo russe; cionondimeno dovremmo essere in grado, imparando dai tedeschi, di far capire ai russi, con una maggior leva, quanto loro stessi abbiano bisogno della nostra ricchezza: il know how imprenditoriale italiano utile alla loro opera di modernizzazione.