Libia, il tempo di Obama è scaduto e il Congresso non fa sconti

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Libia, il tempo di Obama è scaduto e il Congresso non fa sconti

01 Giugno 2011

Barack Obama è accerchiato. Il Congresso lo marca stretto e, appena può, attacca. La Camera dei Rappresentanti vota contro la possibilità di impiegare forze di terra in Libia, mancando per pochi voti l’approvazione di una mozione sul ritiro immediato delle truppe dall’Afghanistan. Democratici e Repubblicani isolazionisti sembrano uniti contro il forcing solitario dell’esecutivo negli affari esteri. Poche le eccezioni. L’alibi è quello del bilancio, dell’irrazionalità di agire contemporaneamente in tre teatri (Iraq, Libia, Afpak), ma la vera motivazione sembra essere incisa nell’anima della Costituzione: The United States does not have a King’s army. Il fronte anti Obama è fatto di principi democratici e modelli teorici: il presidente non può evadere dal controllo interistituzionale. Le politiche reali vengono dopo.  I puristi del check and balance system dispensano prediche, anche se non mancano le contraddizioni.

Lo scontro tra poteri di cui si sta parlando ha radici profonde nella storia politica americana e si infiamma quando le crisi internazionali richiedono un esecutivo forte. Da ultimo la crisi libica e la conduzione della guerra in Afghanistan. Per quanto riguarda la Libia, il presidente Obama ha fin da subito  preferito un approccio light, incentrato sulla diplomazia e sul ricorso alle Nazioni Unite. Nessun bombardamento o invasioni. Decide di intervenire solo in seguito, su pressione dei senatori John McCain e John Kerry e soprattutto del segretario di stato Hillary Clinton, ancora turbata per le 800.000 vittime che suo marito lasciò morire in Ruanda nel 1994. Oggi Kerry, lo stesso Kerry, critica l’impegno in Afghanistan dimostrando una certa schizofrenia nelle valutazioni. Le differenze di scenario sono evidenti, ma non sufficienti a indicare una così netta discordanza di idee. In realtà, il comportamento di questa amministrazione mette in difficoltà più o meno tutti: da una parte le frange repubblicane contrarie a qualsiasi tipo di interventismo americano lontano da casa e che si distinguono per sparare a zero sull’azione del governo  e dall’altra lo stesso partito democratico, in particolare l’ala liberal, nemica giurata di Bush e del suo modo di fare politica. Obama si sta dimostrando un presidente che utilizza le sue prerogative di "Comandante in capo" in maniera ancora più dilatata rispetto al predecessore, infrangendo le logiche politiche degli ultimi anni.

L’Afghanistan è un teatro che si fa di giorno in giorno più complesso. I costi della missione sono altissimi (circa 150 miliardi di dollari solo nel 2011) e la diffidenza dell’opinione pubblica per questa guerra continuerà a salire nel tempo. Dopo dieci anni è opportuno premere per il ritiro, ma non è possibile prescindere da alcuni obiettivi. Un dietrofront immediato e completo delle forze americane segnerebbe una sconfitta, generando problematiche rilevanti in futuro. Rinunciare ad una presenza sul suolo afghano metterebbe a rischio l’intera strategia globale degli Usa. Basti pensare alla crescente influenza cinese nell’area, il suo avvicinamento ad Islamabad.

Ma torniamo alla Libia. L’azione di Obama si fonda sulla War Powers Resolution, legge approvata nel 1973, che permette al presidente di dispiegare contingenti militari in un Paese straniero, senza il consenso formale del Congresso. Un solo limite: 2 mesi di tempo per dimostrare l’importanza della missione per la sicurezza nazionale. Questa misura fu introdotta in un contesto geopolitico unico nel suo genere: Guerra Fredda, Vietnam e Nixon sembravano sufficienti a spiegare le ragioni che richiedevano una maggiore centralizzazione del potere. Il rafforzamento dell’esecutivo in realtà inizia anche prima. Cresce parallelamente al peso che Washington assume nello scacchiere internazionale. Dalla presidenza di F. D. Roosevelt, in particolare. 

Obama ha informato il Congresso sull’intervento in Libia con una lettera datata 22 marzo, ricevendo il pieno appoggio di John McCain, il candidato repubblicano alle ultime presidenziali. Il termine previsto per le operazioni è scaduto ormai da diversi giorni, rendendo le attività Usa fuorilegge. Voci affermano che questa forzatura sia il frutto di un preciso disegno studiato a tavolino. L’amministrazione cerca di creare le giuste condizioni per modificare il WPR. Già nel 1995, l’allora senatore Biden ci aveva provato con un progetto di riforma, la S. 564. Parlava di maggiore elasticità di applicazione. Di maggiori poteri per il presidente degli Stati Uniti.