Quei 70 anni di Bob Dylan tra nuovi tour e qualche polemica
12 Giugno 2011
Un menestrello riccioluto tiene banco sulle scene musicali internazionali da almeno cinquant’anni. Venuto alla luce sette decadi fa nel Minnesota, precisamente nel lontano 24 Maggio del 1941, Robert Zimmermann, in arte Bob Dylan, il 22 Giugno approderà all’Alcatraz di Milano. Il suo è uno pseudonimo, scelto in onore del poeta gallese Dylan Thomas. Questi aveva ispirato molto il cantante con le sue opere che non a caso da lui prende le fila per inventarsi un passato spettacolare e mai monotono, ora avventuroso, ora leggendario. Nulla da obiettare, se lo consideriamo un atteggiamento in perfetta sintonia con i protagonisti delle canzoni che aveva imparato da piccolo e che oramai gli si sono tatuate addosso.
Robert inizia a suonare a soli sei anni pianoforte e chitarra e questo gli ha permesso di esibirsi con i Golden Chords già a quindici, senza mai smettere fino agli anni universitari. Tutto ciò in uno stile maliconico, tipico del folk-rock poco romantico, ma pieno di protesta e di inni civili. «Tutto quello che posso fare è essere me stesso, chiunque io sia» ha dichiarato Dylan, e nella sua unga carriera ha seguito sempre questa linea guida, tanto da immedesimarsi bene in ogni maschera che indossava, dal traditore all’oracolo ed in ogni caso è riuscito a smentire le aspettative che tutti avevano su di lui: «Non sono io che ho creato Bon Dylan. Bob Dylan è sempre esistito e sempre esisiterà».
Il suo stile non ha mai smesso di mutare grazie alla ricerca di nuovi sé e di una musica, che si è evoluta dal Roc’n’roll al Jazz, passando per il Gospel e perché no, per le singolari musicalità di Inghilterra, Scozia ed Irlanda. Proprio questa sua propensione ha avuto un forte impatto sulla musica popolare e sulla cultura americana e non, tanto da fruttargli più volte delle candidature per il Premio Nobel alla letteratura ed il Pulitzer alla carriera. È perciò uno dei più grandi artisti del globo e per scoprirlo non dovevamo certo aspettare la rivista Rolling Stones, che nel 2004 lo posiziona solo dopo i Beatles.
Nonostante tutto la sua vita non è stata tutta rose e fiori e la malinconia ha colpito non solo la sua arte. Partendo dal 1966 quando, perdendo il controllo della sua Triumph Tiger T100 vicino Woodstock si rese conto, contandosi le ossa rotte, che non poteva più lavorare per delle “sanguisughe”. Eppure il mistero che gravava intorno a quell’evento sfortunato lo rese un personaggio ancor più leggendario. Howard Sournes, che curò una biografia dell’artista, ipotizzò che il fantomatico incidente fosse stato solo un pretesto per sfuggire alle pressioni che lo circondavano, anche in considerazione del successivo allontanamento dai riflettori e dal pubblico per ben 18 mesi.
Per rimanere in tema la BBC ha pensato bene, per il suo compleanno da poco trascorso, di riproporre un’intervista proprio del ’66 rilasciata dopo un concerto, nella quale Bob non nasconde la sua pregressa esperienza con l’eroina e neppure un’indole fragile: «Sono felice, ma felicità è una parola un po’ conveniente. Mi sparerei al cervello se le cose andassero male. Mi butterei da una finestra, mi sparerei davvero. Penso alla morte in modo aperto, sai» dichiarava al suo “amico” giornalista Robert Shelton.
E non finisce qui, perché è ancora al centro dell’attenzione dopo il suo concerto di Pechino, apparso poco incisivo. Bob è stato accusato di essersi “arreso” alla censura, non toccando i diritti umani, praticamente è stato accusato di essersi esibito senza ribellarsi, abbassando la testa e basando il proprio spettacolo sui classici meno impegnati. Nonostante tutto il nostro artista non è apparso turbato da questi “regali”, anzi ha deciso di festeggiare i suoi 70 anni con un tour internazionale in pompa magna, com’è tipico di Bob Dylan.