“Nella guerra contro Gesù c’è tanto odio quanto pregiudizio”

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“Nella guerra contro Gesù c’è tanto odio quanto pregiudizio”

05 Maggio 2011

È difficile restare indifferenti agli argomenti di Antonio Socci, giornalista e saggista battagliero, preparato ed ispirato apologeta cattolico. I suoi libri dovrebbero fare molto rumore, tuonare con fragore nelle coscienze, ma spesso c’è chi preferisce ignorarli o denigrarli senza prendersi nemmeno il disturbo di leggerli. Così è stato per “La dittatura anticattolica”, lavoro pionieristico (era il 1989) di revisione storica sul Risorgimento, “Il genocidio censurato” (sul dramma planetario dell’aborto), “Il quarto segreto di Fatima” o “Il segreto di padre Pio”.

Abbiamo citato solo alcuni titoli, la lista è lunga e da pochi giorni si è aggiunto "La guerra contro Gesù" (Rizzoli), presentato già in quarta di copertina come  “un saggio polemico che demolisce alla radice i pregiudizi anticristiani”. Si apre con il ricordo e il testamento di Shahbaz Bhatti, ministro per le minoranze religiose del Pakistan, assassinato dai fondamentalisti islamici lo scorso 2 marzo. Bhatti ha così pagato, ricordiamolo, la sua opposizione alla condanna a morte per apostasia inflitta ad Asia Bibi, giovane mamma convertitasi al cristianesimo.

Ma non vi sono solamente persecuzioni sanguinarie come quelle volute dei regimi totalitari novecenteschi o dall’estremismo jihadista. Anche il mettere in ridicolo l’evento cristiano, negarlo, corromperlo, falsarlo, criticarlo con “toni da inquisizione” sono atti di guerra. Il libro, di oltre 400 pagine e sorretto da una imponente bibliografia, è un prezioso strumento di difesa. Nel corso di una breve chiacchierata con l’autore abbiamo provato ad evidenziarne i punti salienti.

A proposito di Islam, Socci, lei mi pare che sia d’accordo con Bat Ye’or: scrive che è in atto una strisciante “islamizzazione del cristianesimo”. Cosa significa?

Ne ha parlato anche “La civiltà cattolica”, rivista dei padri gesuiti. Spesso l’esegesi contemporanea e la teologia ufficiale sottraggono a Gesù la pretesa divina, lo riducono a semplice profeta o rabbino divinizzato in un secondo tempo dai seguaci. È la stessa cosa che sostiene il Corano: Gesù non è figlio di Dio ma semplicemente un uomo ispirato. Ma è chiaro che senza questo meraviglioso paradosso dell’uomo-Dio, concetto che è una vera bestemmia per i musulmani e follia per la ragione positivista, il cristianesimo non è più lo stesso. Qualcosa non funziona più in quello che Péguy chiamava “meccanismo cristiano”.  

La negazione della divinità di Cristo è anche il fondamento dell’attacco illuminista e idealista. Da Voltaire e Hegel (che lei definisce “grande mago delle ideologie moderne”) fino agli odierni e meno brillanti epigoni, come Augias e Odifreddi…

La cosa singolare è che Voltaire si impegnò con tutte le sue forze per negare la santità ma lui stesso è diventato un santino democratico. Gli viene attribuita la nota frase: “Non sono d’accordo con quello che dici, ma sono pronto a dare la mia vita perché tu possa dirlo”. Ebbene, quella frase Voltaire non la pronunciò mai, si tratta di un apocrifo del primo novecento. Il vero Voltaire è nel suo motto “Écrasez l’infâme!”, schiacciate l’infame. Gli infami erano tutti coloro che non pensavano come lui, i cristiani, gli ebrei, i neri. L’autore del “Trattatati della tolleranza” era in realtà, come dimostrato da altri scritti meno noti e diverse lettere, un vero razzista. Per lui era odiosa l’idea che tutti gli uomini fossero nati dallo stesso Dio e salvati dallo stesso Messia. Le sue critiche al cristianesimo sono perfetti esempi di pregiudizio ed odio ideologico, non v’è traccia di argomenti scientifici, anche quando nega la storicità di Cristo. Chiodo fisso di Hegel e di tutta la filosofia tedesca posteriore fu invece estirpare le radici ebraiche del cristianesimo. 

Ma vi sono veramente le prove della realtà storica e della missione di Cristo?

Abbiamo più notizie storiche su Gesù di quelle su Alessandro Magno o  tanti altri personaggi famosi dell’antichità. Non solo fonti scritte dai fedeli ma anche da romani, come Tacito. Sappiamo che Tiberio intendeva inserire Cristo nel Pantheon degli dei imperiali già nel primo secolo, ma incontrò l’opposizione del Senato. Seneca tramanda concetti già rivoluzionari per il mondo pagano, già cristiani. Infatti sappiamo che conobbe e fu amico di penna di San Paolo. Addirittura nel “Satyricon” di Petronio si trovano parodie della nuova religione. E notiamo una cosa: tutti costoro vissero nel primo secolo dopo Cristo, a pochi anni di distanza dalla sua predicazione e morte. Ciò significa che prima della svolta neroniana, l’inizio delle persecuzioni, ovvero il 62 dopo Cristo, il cristianesimo era già diffuso e organizzato come Chiesa, il suo fondatore era considerato una divinità anche dai romani o quantomeno una realtà con la quale fare i conti. Eppure l’esegesi moderna sostiene che la scrittura dei Vangeli avvenne dopo il 70, dopo la distruzione di Gerusalemme. Ma se fosse così vi troveremmo eco delle persecuzioni di Nerone e della fine del Tempio. Così non è, dunque furono scritti prima e Paolo, per mezzo delle lettere, fornì strumenti interpretativi per comprenderli. Vi sono anche testimonianza ebraiche, talmudiche: vi si raccontano i prodigi di Gesù, anche se vengono spiegati con il ricorso alla magia e non al carisma divino, al potere miracoloso. 

Come dimostrare che i vangeli furono scritti prima del 70 d. C.?

Vi sono prove, non prese in considerazione dall’esegesi contemporanea che preferisce ignorare i dati scientifici per basarsi sul pregiudizio. Ad esempio i frammenti dei vangeli trovati nella grotta di Qumran, sigillata nel 68 d.C. O la scoperta di frammenti del testo originario in aramaico sotto quello greco. Sono decenni che certe cose sono note e mandano all’aria il metodo critico modernista. Eppure la stessa teologia cattolica ufficiale sviluppatasi dopo il Concilio Vaticano II si è arresa al pregiudizio, ha annacquato lo scandalo cristiano, accettato la postdatazione dei vangeli e la leggenda della mitizzazione tarda di Gesù. Una resa quasi incondizionata proprio nel momento in cui le scoperte scientifiche permettevano di sbugiardare duecento anni di finto cristianesimo.

Gli anni dopo il Concilio sono anche quelli della riforma liturgica che abolisce il latino e “democraticizza” la messa. Vede un legame con questa pesante influenza della critica illuminista sul pensiero  cattolico?

Come si dice, “lex orandi, lex credendi”. È probabile che le forzature postconciliari in campo liturgico, che tradirono ed estremizzarono i documenti del Concilio, abbiano un riflesso nella teologia. Eppure siamo di fronte a fatti divulgati da scienziati, come gli esperti di papirologia, contro le opinioni e i pregiudizi di intellettuali, come i teologi. In fondo anche Gesù aveva deciso di cominciare la sua predicazione apostolica dalla gente del popolo, pratica del mondo, come pescatori, esattori delle tasse. Non certo dai dotti del Tempio.