Portare il rock all’università è un po’ come chiuderlo in un “museo”
08 Maggio 2011
Un sogno anima Gianna Nannini ed è in pieno stile rocker. La Gianna nazionale vuole portare il rock, quello puro, autentico, all’interno delle Università. "Sogno di sensibilizzare l’orecchio dei ragazzi," dice al settimanale Gioia, "portarli a capire la differenza tra musica fast food e una partitura ricca e precisa, un brano in cui la voce si interseca agli archi, appoggiandosi ad armonici esatti. E’ un’esperienza estremamente emozionante, se a scuola qualcuno ti aiuta a capire il meccanismo che serve a crearla". Gianna, infatti, non riesce a spiegarsi perché nei Conservatori si studino Beethoven e i classici della musica e non il rock, i grandi classici ma non i Led Zeppelin; non riesce proprio a farsene una ragione, la “rock-mama”.
Beh forse forse un paio di motivi però ci sono, ma giusto un paio, per esempio che chi studia in Conservatorio la conoscono già la distinzione “tra musica fast food e una partitura ricca e precisa”. Certo ormai c’è la concorrenza, spietata, dei Talent Show, che sfornano nuovi divi a raffica, eppure anche in questo caso dietro il "fast food" c’è un lavoro di squadra e poi, diciamolo, senza la musica meno impegnata non si potrebbe avere un metro di paragone adeguato: come faremmo a giudicare bella una canzone o addirittura una partitura se non la potessimo paragonare ad una “canzonetta”, come le chiamava Edoardo Bennato? Fatto sta che la Nannini quando si mette in testa qualcosa difficilmente torna indietro. Ormai si è messa in testa che vuole insegnare e a chi le fa notare che il rock è un genere che va vissuto, lei risponde a tono: “Si deve vivere, infatti. Osservando qualcuno che, come me, lo respira da sempre”. Nulla da obiettare se non che le aule universitarie non sembrano proprio il posto migliore per quella esperienza vitale che solo un concerto, si tratti di un grande stadio stracolmo di corpi che vibrano all’unisono, o di un piccolo pub fumoso e ricco di strimpellature, possono dare.
E poi, suvvia, Gianna, la generazione che forse meno di tutte ha la necessità di farsi spiegare il rock è proprio quella dei giovani di oggi. La Nannini ha citato Elton John, Carole King e i "Led", che conosciamo bene insieme ai Beatles e ai Rolling Stones, ai Pink Floyd piuttosto che Bruce Springsteen. Così come, per restare all’Italia, il rock nostrano è sempre stato vivo e si è ben armonizzato con il cantautorato: dai Corvi ai Rockers, fino alla PMF e poi via discorrendo fino ai nostri giorni. Insomma, a nostro parere i giovani italiani che “convivono” con la musica leggera sanno bene cosa e come ascoltare. Al di là delle partiture e della "tecnica", questa è una generazione che alza il volume a palla quando non vuole che il mondo esterno la fagociti, abituata a vivere e a girare senza troppi soldi in tasca ma che non rinuncerebbe mai alle sue cuffiette e al lettore mp3. Che ascolta chicche come “Gimme some lovin’”, recuperate magari da un vinile paterno degli anni Sessanta, senza bisogno di farci sopra una lezione e un esame universitario.