John Galt non ha mai dubitato di vivere solo per se stesso
08 Maggio 2011
di Luca Negri
Dopo le saghe fantasy e fantascientifiche ecco approdata al cinema la più nota saga fantapolitica, o meglio fantaeconomica, del Novecento. Il poderoso inno al capitalismo libertario (selvaggio, direbbe un Bertinotti) in forma di romanzo, Atlas Shrugged, di Ayn Rand è diventato un film. O almeno così è stato per un terzo delle sue oltre mille pagine; si tratta pur sempre di uno dei romanzi più lunghi della storia della letteratura mondiale, che il lettore italiano già da qualche anno trova pubblicato dall’editore Corbaccio con il titolo La rivolta di Atlante. Il passaggio sul grande schermo renderà ancor più noto il nome della Rand, autrice frequentatissima e assai influente negli Stati Uniti, conosciuta nel resto del mondo solo negli ristretti ambienti del liberalismo estremista, del filocapitalismo anarcoide.
Eppure la signora, scomparsa nel 1982, era di nascita e famiglia europea, russa per la precisione. Particolare quest’ultimo non ininfluente, dato che Alisa Zinov’evna Rozenbaum – questo era il suo vero nome – fuggi appena le fu possibile dal paese natale ormai bolscevizzato. Aveva solo vent’anni ma aveva già maturato un profondo sentimento anticomunista, un livore nei confronti dell’ideologia marxista che volle combattere con idee altrettanto forti. Trovò lavoro come sceneggiatrice ad Hollywood e cominciò a concepire i suoi romanzi profondamente influenzata da Victor Hugo nello stile e da Friedrich Nietzsche nelle idee fondamentali. Ebbe un grande successo con “La fonte meravigliosa”, che divenne cortometraggio nel 1943 con il bel Gary Cooper nel ruolo del protagonista principale.
Un successo ancora più grande doveva però arrivare con la saga di Atlante, vera summa del suo pensiero, in forma romanzata, romantica e, appunto, fantaeconomica. Fatta eccezione per l’introspezione psicologica così cara alla letteratura del secolo scorso, in quel libro c’era un po’ di tutto, storia d’amore compresa. Più che altro c’era tanto spazio per la filosofia dell’autrice, centrata sulla visione dell’uomo “come essere eroico, con la sua felicità individuale come scopo morale della vita, il successo produttivo quale sua più nobile attività, la ragione elevata a proprio unico assoluto." Attraverso l’invenzione del personaggio chiamato John Galt, coraggioso e visionario capitalista in lotta contro una America del futuro completamente collettivizzata e statalizzata, la Rand propagandava il ruolo salvifico dell’imprenditore, vero demiurgo della società, genio incompreso dall’inferiore e soffocante umanità massificata e priva della sete di avventura, superuomo liberato dai lacci della morale comune e da ogni compassione. Era infatti un elogio dell’egoismo e dell’individualismo portato ben oltre i confini tracciati dal liberalismo classico settecentesco ancora temperato dal messaggio cristiano.
La Rand invece rifuggiva ogni misticismo, ogni religione che non esprimesse nicciana fedeltà alla terra ed alla missione salvifica dell’imprenditore senza macchia di sovvenzioni statali e senza paura dei sindacati. Riassumendo: totale fiducia nella ragione e convinzione del fatto che l’individuo debba vivere solo per se stesso e per il suo bene. Non stupisce il fatto che lei stessa sostenesse di aver scritto il romanzo della sua vita pensando non all’uomo come è in realtà ma a come dovrebbe essere. Fuggita inorridita dall’utopia comunista, piombò in una nuova utopia, neanche tanto nuova, dato che erano concetti illuministi e romantici portati al parossismo. Ne acque addirittura una filosofia, l’ennesimo –ismo del Novecento: l’oggettivismo. Dagli anni ’50 girano per il mondo, e soprattutto per gli States, signori che si dicono seriamente “oggettivisti”. Il movimento oggettivista non si è risparmiato lo stesso destino di tutti gli altri movimenti: dogmi, chiusure, razzismi intellettuali, settarismi, scismi.
La sua influenza è però indubbia in una parte di quella che con una buona dose di approssimazione possiamo chiamare destra statunitense, movimento Tea-party compreso. E quasi tutti questi anarcocapitalisti sono corsi al cinema per vedere Atlas Shrugged. Come succede sempre in questi casi, quando un libro molto amato diventa un film, i fans sono rimasti perlopiù delusi. Certo, la produzione non è all’altezza dei kolossal hollywoodiani e non c’è Angelina Jolie come si era vociferato e sperato. Trattasi però di frutto di grande passione. Fortissimamente voluto da John Aglialoro, imprenditore sessantasettenne nel ramo del fitness, pokerista da competizione e convinto oggettivista. Dopo più vent’anni di rifiuti arrivati dalla case di produzione cinematografiche non intenzionate a correre un tale rischio, Aglialoro ha deciso di investire il suo patrimonio, la sommetta di 20 milioni di dollari, per finanziare l’opera. Ha rischiato con le sue tasche, incarnando perfettamente l’eroe randiano.
Al di là del successo dell’impresa, il pokerista cercherà di produrre gli altri due capitoli della saga, il tutto entro il 2013. Ignoriamo se e quando il film verrà distribuito in Italia, dove in realtà la Rand fece già la sua parte in anni decisivi. Nel 1942 infatti Goffredo Alessandrini diresse due lungometraggi, “Noi vivi” e “Addio, Kira”: una giovanissima e bellissima Alida Valli interpretava Wethe Living, eroina randiana in fuga dall’inferno sovietico. Il regime fascista non apprezzò troppo il viscerale antibolscevismo: troppo libertario per chi voleva che la parola Italia fosse più importante della parola libertà e che l’individuo fosse sottomesso allo Stato.