La ratio della legge 194 è quella di una tutela sociale della maternità

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La ratio della legge 194 è quella di una tutela sociale della maternità

08 Luglio 2011

La legge italiana che consente e regola l’aborto è la 194 del 1978, intitolata: “Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza”. La normativa italiana sin dal titolo, dunque,  esprime  una precisa ratio, la tutela sociale della maternità. Nel mondo le leggi sull’Ivg si suddividono in due tipologie: quella dell’aborto fornito liberamente a chi lo chiede, e quella che invece prevede una casistica, più o meno restrittiva. Il secondo gruppo, in cui rientra la 194, riunisce le leggi in cui si sottolinea – più o meno fortemente – che l’aborto è lecito solo in alcuni casi, entrando quindi nel dettaglio dei motivi per i quali si può abortire senza incorrere in sanzioni penali.

L’impianto della legge italiana non considera l’aborto come un diritto privato e personale, ma come questione che va affrontata sotto il profilo sociale, all’interno di un concetto di rilevanza sociale della maternità. La legge, in sostanza, configura situazioni di ammissibilità di un atto considerato, in linea di principio, negativamente. E’ per questo che il primo articolo della legge afferma che lo Stato  “riconosce il valore sociale della maternità e tutela la vita umana fin dal suo inizio”, ricordando che l’aborto “non è un mezzo per il controllo delle nascite”, e che Stato e Regioni devono promuovere iniziative per evitare che l’Ivg sia usato a questo fine.

Entro i primi 90 giorni l’aborto è consentito in base alla tutela della “salute psichica e fisica della donna”, nel caso corra un “serio pericolo”, con riferimento ad alcune particolari condizioni, anche socio-economiche. Stando alla formulazione normativa  italiana, dunque, l’aborto legalmente praticato dovrebbe avere sempre natura “terapeutica”, nei confronti della salute materna minacciata: questo in base alla sentenza n.27 del 1975 della Corte costituzionale, che aprì la strada alla legislazione attuale.

La considerazione negativa dell’interruzione di gravidanza si esprime anche nell’art. 5, con cui si chiede al consultorio e alla struttura socio-sanitaria “di esaminare con la donna e con il padre del concepito, ove la donna lo consenta, le possibili soluzioni dei problemi proposti, per aiutarla a rimuovere le cause che la porterebbero alla interruzione della gravidanza”.  Insomma: l’aborto, per la nostra legislazione, è un male da evitare ove possibile, e da arginare attraverso forme di riduzione del danno, privilegiando la salute femminile; ma non è configurato come un diritto individuale.

L’impostazione adottata è quella della tutela sociale della maternità, sia che la maternità venga accettata dalla donna, sia che venga rifiutata: questo è il motivo per cui il legislatore impone che l’Ivg non possa essere praticata fuori dalle strutture sanitarie pubbliche. E’ l’intera società che si deve fare carico della maternità, anche se la decisione circa la propria salute fisica e psichica, eventualmente minacciata dalla prosecuzione della gravidanza, spetta in ultima istanza, e non può che spettare, alla donna. Il ricorso all’aborto, nei limiti di legge, è garantito gratuitamente dal servizio sanitario nazionale e non può essere effettuato da privati a pagamento.

L’obbligo di ricorrere alle strutture pubbliche o a quelle convenzionate rende più facile un’efficiente, capillare e regolare raccolta dei dati, e consente un controllo e un monitoraggio costante e ampio della situazione italiana, come si evince dalla relazione che il Ministro della Salute deve consegnare ogni anno al Parlamento. Il fatto che tutto avvenga all’interno del Sistema sanitario nazionale permette anche che sia svolta un’attività di prevenzione, in applicazione ai primi articoli della legge, che, anche se attuati in modo non omogeneo sul territorio nazionale e spesso grazie al volontariato, hanno avuto buoni esiti. Dopo il picco registrato negli anni Ottanta, il numero degli aborti in Italia, sia in cifre assolute che calcolata in percentuale secondo diversi metodi, è infatti continuamente sceso. Voglio sottolineare come l’Italia sia uno dei pochi paesi europei in cui la riduzione del numero delle Ivg legali e clandestine sia stata costante nel corso degli ultimi vent’anni, secondo tutti gli indicatori comunemente utilizzati.

L’obiezione di coscienza è garantita e regolata dalla stessa legge 194, che all’art.9 recita: “ Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non e’ tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione. La dichiarazione dell’obiettore deve essere comunicata al medico provinciale e, nel caso di personale dipendente dello ospedale o dalla casa di cura, anche al direttore sanitario, entro un mese dall’entrata in vigore della presente legge o dal conseguimento della abilitazione o dall’assunzione presso un ente tenuto a fornire prestazioni dirette alla interruzione della gravidanza o dalla stipulazione di una convenzione con enti previdenziali che comporti l’esecuzione di tali prestazioni. L’obiezione può sempre essere revocata o venire proposta anche al di fuori dei termini di cui al precedente comma, ma in tale caso la dichiarazione produce effetto dopo un mese dalla sua presentazione al medico provinciale.

 L’obiezione di coscienza esonera il personale sanitario ed esercente le attivita’ ausiliarie dal compimento delle procedure e delle attivita’ specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza, e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento. Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalita’ previste dagli articoli 5, 7 e 8. La Regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilita’ del personale.

 L’obiezione di coscienza non puo’ essere invocata dal personale sanitario, ed esercente le attivita’ ausiliarie quando, data la particolarita’ delle circostanze, il loro personale intervento e’ indispensabile per salvare la vita della donna in imminente pericolo. L’obiezione di coscienza si intende revocata, con effetto, immediato, se chi l’ha sollevata prende parte a procedure o a interventi per l’interruzione della gravidanza previsti dalla presente legge, al di fuori dei casi di cui al comma precedente”

E’ evidente dunque che l’obiezione di coscienza riguarda solo il singolo, e non la struttura ospedaliera. Del resto la natura dell’obiezione di coscienza è squisitamente personale, perché legata al foro interiore, alla libertà di coscienza garantita da tutte le convenzioni internazionali sui diritti dell’uomo e anche, naturalmente, dalla Costituzione italiana. È anche evidente come la legge sancisca la prevalenza del diritto alla salute della donna, quando vi sia pericolo di vita, contrariamente a quanto è stato affermato da alcuni.

Per controllare le percentuali dell’obiezione di coscienza tra i diversi operatori sanitari (medici, anestesisti, infermieri) e verificarne l’impatto sull’accesso delle donne all’Ivg abbiamo dunque a disposizione i dati forniti anno per anno da ogni singola azienda sanitaria, organizzati per Regione. I dati sono raccolti secondo modelli elaborati dall’Istituto superiore di sanità, l’organismo nazionale di ricerca in ambito sanitario, e dall’Istat, l’ente nazionale di statistica. Il ministero, poi, accompagna i dati con una relazione di illustrazione e valutazione, che presenta, come abbiamo detto, al Parlamento. Oltre ai dati annuali, abbiamo a disposizione anche una recente indagine conoscitiva parlamentare, volta ad approfondire in modo completo ogni aspetto dell’aborto nel nostro paese, conclusa nel 2006.

 Fin dall’inizio dell’applicazione della legge, gli ospedali, quando si è verificato un numero troppo elevato di personale obiettore,  hanno assicurato il servizio di IVG con contratti professionali specifici, oppure, in alcune Regioni in modo particolare, attraverso convenzioni con strutture autorizzate.

Dall’ indagine parlamentare si evince che la diminuzione degli aborti in Italia non è attribuibile agli aborti clandestini, calcolati secondo tre indipendenti modelli matematici, secondo il rapporto tra tasso di fecondità e tasso di abortività, secondo il modello definito “delle nascite evitate” , e secondo il modello di Tietze e Bongaarts. Si rileva anche che nel 60% dei casi, il tempo di attesa per l’accesso all’aborto, escludendo la settimana di riflessione prevista dalla legge, è di una settimana. Il tempo di attesa tra il rilascio della certificazione e l’intervento è l’indicatore dell’efficienza del servizio.

La percentuale di obiettori, pur soggetta a oscillazioni, è sempre rimasta piuttosto alta nel nostro paese, ma questo non sembra aver influito sull’accesso all’Ivg, secondo l’indicatore di efficienza che abbiamo citato. Inoltre, l’obiezione sebbene in genere sia più alta in alcune Regioni meridionali, è assai elevata anche in regioni del centro (come il Lazio) e del nord, dove il sistema sanitario è più efficiente, dove c’è un maggior numero di consultori e una maggiore consapevolezza femminile. Osservando i dati, possiamo rilevare come l’obiezione di coscienza non abbia una diretta incidenza sull’accesso al servizio, tanto che in alcuni casi a un aumento del numero di obiettori corrisponde una dimunuzione dei tempi di attesa tra rilascio della certificazione e intervento. Inoltre l’abortività oltre i primi 90 giorni rappresenta in Italia una quota assolutamente trascurabile del fenomeno globale, anche confrontata con i dati internazionali.

Non sembra quindi ipotizzabile che una parte degli aborti oltra I 90 giorni sia eseguito non per motivi di salute fisica o psichica della donna, come previsto dalla legge, ma per mascherare aborti chiesti in ritardo. In conclusione, si conferma la tendenza storica alla diminuzione dell’IVG in Italia, che diventa ancor più evidente se si scorporano i dati relativi alle donne italiane rispetto a quelli delle straniere; l’alto tasso di abortività tra le immigrate, che seguono comportamenti differenti per nazionalità e cultura di provenienza, anche a causa dei diversi approcci ed accessi alla procreazione responsabile e all’IVG nei paesi di origine, rappresenta un problema relativamente nuovo che stiamo affrontando a livello di progetti mirati di prevenzione (mediazione culturale, …). Vorrei sottolineare come il tasso di abortività in Italia sia fra i più bassi tra i paesi occidentali; particolarmente basso è quello relativo alle minorenni, ed agli aborti ripetuti.

Si configura in questo ambito una specifica situazione italiana: il panorama dei comportamenti relativi alla procreazione responsabile e all’IVG in Italia presenta sostanziali differenze da quelli di altri paesi occidentali e in particolare europei, nei quali l’aborto è stato legalizzato. Siamo in un paese a bassa natalità ma anche basso ricorso all’IVG – dunque l’aborto non è utilizzato come metodo contraccettivo – e insieme un paese con limitata diffusione della contraccezione chimica. In generale, il tasso di abortività sembra collegarsi non soltanto ai classici fattori di prevenzione (educazione sessuale scolastica, educazione alla procreazione responsabile, diffusione dei metodi anticoncezionali, facilità di accesso alla contraccezione di emergenza), ma anche a fattori culturali più ampi, in parte da indagare, e che bisognerà mettere meglio a fuoco.

Per quanto riguarda l’obiezione di coscienza, ricordo che c’è stata, in Italia, una lunga bataglia che ha visto alleati laici e credenti, per ottenere il riconoscimento dell’obiezione di coscienza contro l’obbligo del servizio militare per la parte maschile della popolazione. Una prima legge, la legge Marcora, fu approvata nel 1972; grazie a questa, per gli obiettori non fu più prevista la reclusione, e fu istituito il servizio civile alternativo. Anche il riconoscimento dell’obiezione per quanto riguarda l’aborto avvenne nel solco di quella battaglia, grazie a un’alleanza tra laici e credenti; e tra i sostenitori dell’aborto ci furono numerosi fautori del riconoscimento dell’obiezione di coscienza, considerata come espressione della libertà di coscienza, da iscrivere dunque tra i diritti umani riconosciuti dalle principali convenzioni internazionali.