Ripartiamo dalla responsabilità civile dei magistrati
08 Luglio 2011
Chi si ricorda che in questo paese nel 1987 c’e stato un referendum in cui gli elettori hanno massicciamente votato a favore della responsabilità civile dei magistrati? Il referendum chiedeva che anche i giudici, come tutti, rispondessero in sede civile dei propri errori, così da offrire al cittadino la possibilità di essere risarcito di anni passati in galera senza motivo, magari per la parola priva di riscontri di un mafioso pentito o per un caso di omonimia facilmente verificabile. II danno di reputazioni e carriere bruciate, di vite spezzate e famiglie sconvolte è difficile da risanare; ma si può almeno far sì che il responsabile paghi. Ebbene, c’e stato un momento in cui tutti i partiti, o quasi, erano d’accordo su questa ragionevole richiesta. C’e stato un momento in cui Enzo Tortora era diventato per tutti il simbolo di una giustizia ingiusta, troppo spesso arrogante e priva di rispetto verso il cittadino.
Al voto il “sì” stravinse (percentuale di votanti 65 per cento, percentuale di favorevoli, oltre l’80 per cento), ma per una di quelle stupefacenti giravolte della politica italiana che tanto colpiscono gli osservatori stranieri, il risultato fu che mai più un magistrato si trovò a dover rispondere in solido dei propri sbagli. La vittoria clamorosa dei garantisti si trasformò incredibilmente in una sconfitta storica, con cui si inaugurò il partito dei giudici e la sua stretta alleanza con il Pci.
II referendum sulla responsabilità civile dei magistrati è stato un momento fondamentale, un punto di non ritorno nel conflitto tra il potere politico e una parte della magistratura. Rileggendo la vicenda di Enzo Tortora ci si accorge che non si trattava soltanto del cittadino incastrato dal classico errore giudiziario, ma anche di una esercitazione su come distruggere personaggi di rilievo pubblico senza l’ombra di una prova.
Fino allo scontro referendario i rapporti tra la sinistra e i giudici non erano solidamente costruiti, e le teorizzazioni sull’uso alternativo della giustizia o i dissidi ideologici in seno a Magistratura democratica, rimanevano confinati all’interno della magistratura. Ma quando, con il referendum, si minaccia di colpire direttamente le tasche dei magistrati, facendo pagare quelli più ignoranti o più ideologici, quelli che dalle teorie astratte approdano agli sbagli concreti, quelli più superficiali, che commettono errori grossolani, la categoria si spaventa e cerca protezione politica. L’operazione del Pci, condotta con finezza da Luciano Violante, fece leva sulla sensazione di isolamento dei magistrati, ottenendo di compattare la corporazione in quanto tale, e di legarla alla sinistra comunista. L’offerta era di quelle che non si possono rifiutare: vi salveremo dalla volontà popolare che vi vorrebbe responsabili di ciò che fate, e vi garantiremo l’immunità, evitandovi ogni esborso finanziario.
II Pci non poteva, dopo il clamore del caso Tortora, e con l’opinione pubblica schierata, esprimersi contro la responsabilità civile dei magistrati, ma riuscì brillantemente ad aggirare il problema, promuovendo una legge per cui è sostanzialmente impossibile chiedere un risarcimento dei danni subiti. Con la cosiddetta legge Vassalli si annulla il principio stesso della responsabilità personale: il cittadino non può fare causa direttamente al magistrato, ma allo Stato; in caso di giudizio positivo per il cittadino, lo Stato può, a sua volta, rivalersi economicamente sul magistrato colpevole, ma solo entro il limite di un terzo di annualità di stipendio.
Di quello che è accaduto in seguito, si sa. L’attrito tra magistratura e politica è scoppiato con Mani pulite e si è trascinato fino ad oggi, creando una tensione costante che non si è mai attenuata. Le riforme che riguardano la giustizia e la magistratura sono terreno di scontro infinito, di eterno conflitto su cui a sinistra cresce l’incultura dipietrista e l’antiberlusconismo più violento, rendendo difficilissimo il dialogo tra gli schieramenti.
Provo ad avanzare la mia modesta proposta: ripartiamo dal referendum del 1987, e dalla volontà popolare. Ripartiamo dalla responsabilità civile dei magistrati, affossata da una brutta legge ma chiesta in modo compatto dagli elettori. Non si tratta di una legge ad personam, perchè non c’entra niente con i guai giudiziari del Premier; non è penalizzante per i magistrati, perchè colpisce solo chi merita di essere colpito, chi commette errori per dolo o colpa grave; non è divisiva, perchè all’epoca del referendum praticamente tutti i partiti diedero indicazione per il si. Quando un palazzo crolla, o un malato muore sotto i ferri, o si verifica un incidente stradale, la prima cosa che si chiede è che si accertino le responsabilità, e che il colpevole, se c’è, paghi il danno provocato. Soltanto il magistrato è esentato da ogni responsabilità, e può sbagliare serenamente, sicuro di non essere mai chiamato a rispondere. La riforma della giustizia deve andare avanti, ma dobbiamo anche sanare questo vecchio debito con gli italiani, e fare una legge seria ed efficace sulla responsabilità civile dei magistrati.
(Tratto da Libero del 18 ottobre 2009)
* Sottosegretario al Ministero della Salute