Meglio andare a Fondo che in pensione
02 Luglio 2007
L’operazione trattamento di fine rapporto, il tentativo cioè di convogliare in via sistematica la “liquidazione” dei lavoratori del settore privato verso la previdenza complementare, sta per giungere all’attesa verifica del dopo 30 giugno.
E’ difficile formulare previsioni sullo scenario che ci troveremo di fronte allorquando, tra luglio ed agosto, si potranno stendere i primi consuntivi. In assenza di elementi quantitativi, prevale, per il momento, l’ottimismo della volontà e, quindi, la speranza che l’operazione abbia avuto un ragionevole successo e, soprattutto, che lo abbia conseguito per le fasce di lavoratori più giovani, per i quali la seconda pensione sarà una necessità.
Il vero problema che sta alla base dell’operazione “T.F.R.” è proprio questo: la capacità dei lavoratori di percepire quali saranno i livelli di pensione di base di cui diverranno fruitori e cogliere, conseguentemente, l’esigenza di costruire un secondo strumento reddituale per gli anni (fortunatamente sempre più lunghi) della vecchiaia. Si tratta in tutta evidenza di un problema culturale e in quest’ottica la questione del passaggio del 30 giugno, seppur significativa, diviene meno centrale. I lavoratori che nel corso del semestre abbiano deciso di lasciare il T.F.R. in azienda potranno, infatti, sempre ripensarci in futuro, allorquando diverranno coscienti delle loro necessità previdenziali. Quelli che giungeranno alla previdenza complementare da “silenti”, cioè con il conferimento tacito (il “silenzio assenso”, secondo la vulgata giornalistica) e vedranno quindi collocato il T.F.R. in una linea di gestione garantita, o, peggio, in FONDINPS, avranno modo di comprendere, debitamente informati sul punto dai fondi pensione in cui saranno inconsapevolmente finiti, l’opportunità di impostare una più consapevole gestione del loro gruzzoletto.
In effetti, la liquidazione, per i lavoratori subordinati, è davvero un gruzzoletto importante: senza di essa, stante il peso della contribuzione INPS, è assai arduo “fare previdenza complementare”. Il T.F.R. da solo vale 7 punti percentuale di retribuzione. Aggiungendo ad esso altri pochi punti di contribuzione (sfruttando le opportunità già esistenti in tutti i contratti collettivi) si supera quella soglia del 10% di apporti contributivi alla previdenza complementare che nel lunghissimo periodo – 35/40 – anni potranno dar luogo ad un’integrazione della pensione di base del 20, 25% dell’ultima retribuzione. Tra prima e seconda pensione si potrà ricostituire un tasso di sostituzione (rispetto alla retribuzione) del reddito previdenziale non troppo lontano da quello tuttora garantito dall’INPS, alle sempre più ridotte coorti di lavoratori, per i quali trova ancora applicazione il metodo di calcolo retributivo del trattamento pensionistico.
Proprio nell’ottica di massificare il montante individuale, da trasformare, “a fine corsa”, in rendita pensionistica (magari recuperando anche una porzione di capitale, nell’ambito del 50% consentito dalla legge) è importante che i lavoratori comprendano la necessità di indirizzare il proprio risparmio previdenziale verso comparti di investimento aggressivo. In questi ultimi, infatti, la componente di rischio (pur sempre relativa, giacchè ampiamente ammortizzata, sotto il profilo tecnico, dalle scelte operative compiute dal fondo pensione e strutturalmente di per sé ridotta anche dalla periodicità propria delle modalità di versamento degli apporti economici al fondo stesso), nel lungo periodo, è suscettibile di consentire di acquisire il premio, che fa da fisiologico corrispettivo al rischio, cioè un ricco risultato reddituale.
L’operazione T.F.R., com’è ovvio, ha riguardato i lavoratori subordinati del settore privato. Essa ha tuttavia anche rappresentato un’occasione per porre in via generale all’attenzione dei cittadini tutti il problema previdenziale. In quest’ottica l’ottimismo della volontà di cui si diceva in premessa riguarda anche i lavoratori autonomi ed i liberi professionisti. Ci si augura che il gran parlare di previdenza che ha caratterizzato il primo semestre dell’anno li abbia fatti riflettere, avvicinandoli alle diverse tipologie di piani previdenziali presenti sul mercato. Sul punto qualche segnale positivo, tutto ancora da quantificare, giunge dal comparto assicurativo.