Il caso Meredith si infittisce e la realtà ci fa rimpiangere CSI

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Il caso Meredith si infittisce e la realtà ci fa rimpiangere CSI

01 Luglio 2011

Mentre Amanda Knox e Raffaele Sollecito scontano la pena a seguito della condanna in primo grado a 25 e 26 anni per l’omicidio Meredith Kercher, emergono novità determinanti per le sorti del processo: la traccia del dna trovata sul coltello, considerato dagli inquirenti l’arma del delitto, potrebbe non essere della studentessa inglese. Lo scrivono i periti nominati dalla Corte d’Assise d’Appello di Perugia. E allora di chi è il dna, se non della vittima? Il mistero si infittisce, tanto da far sembrare questa storia una puntata della serie tv americana CSI. Solo che, purtroppo, la vicenda perugina non è un film e forse le accuse mosse contro la coppia Knox-Sollecito iniziano a traballare.

Secondo i periti emergono dunque forti dubbi sull’operato degli inquirenti e non è la prima volta che nuovi  elementi contribuiscano a far confusione. Per capirlo basta ripercorrere alcune tappe del caso Meredith. Mez viene uccisa la notte tra il 1 e il 2 novembre 2007, nell’appartamento che divide con altre tre ragazze, due italiane e un’americana. Da quel momento la Procura di Perugia avvia un’indagine che ancora oggi, a distanza di quattro anni, non sembra chiarire la dinamica dei fatti accaduti in via della Pergola. I periti evidenziano alcuni errori fatti durante le indagini: in particolare sostengono che gli accertamenti tecnici non sarebbero per nulla “attendibili” e che “non sono state seguite le procedure internazionali di sopralluogo e di protocollo internazionali di raccolta e campionamento del reperto”. Dettagli di non poco conto, visto che, stando a quanto rilevano, le sorti giudiziarie dei condannati potrebbero essere completamente ribaltate in base a queste affermazioni.

Non è la prima volta che sul ‘caso Mez’ emergono particolari contraddittori. Il primo a farne le spese fu Patrick Lumumba, proprietario del locale dove lavorava la Knox. Secondo la testimonianza di Amanda, Patrick si sarebbe trovato nel luogo del delitto la sera dell’omicidio. Da quel momento, per il congolese, iniziò un vero e proprio calvario, concluso solo quando le accuse vennero giudicate infondate dal Tribunale perugino.

Un altro episodio, che contribuì a rendere ancora più confusionario lo svolgimento del processo, fu quello riguardante le dichiarazioni di Mario Alessi, già noto alle cronache per aver ucciso il piccolo Tommaso Onofri. L’omicida, condannato all’ergastolo, irruppe sulla scena giudiziaria come testimone. I giudici decisero di ascoltarlo. Alessi parlò di una confidenza che Rudy Guede, condannato con rito abbreviato a 16 di reclusione, gli aveva fatto in carcere a Viterbo: secondo l’ivoriano il vero assassino era ancora in libertà. Invece Guede negò di aver avuto tale dialogo con Alessi. Non solo, ma l’inattendibilità delle dichiarazioni dell’ergastolano vennero poi dimostrate durante l’udienza, quando l’avvocato della parte civile gli mostrò una foto del piccolo Tommy: rispose di non sapere chi fosse. Testimonianza irrilevante, dunque, e mentre i giudici prendevano un abbaglio il processo veniva rallentato.

Stando a quanto riferisce la criminologa Giorgia Quadri, i nuovi particolari emersi dalle recenti perizie, il caso Meredith “potrebbe essere uno degli errori giudiziari più gravi degli ultimi anni”. La dottoressa afferma che potrebbero esserci prove sufficienti per scagionare gli imputati. In primo luogo un’impronta della scarpa e una traccia di dna trovata sul gancetto del reggiseno di Meredith. In un primo momento erano elementi da ritenersi appartenenti a Sollecito e ora, invece, sembrano non essere così. Ancora: il suo dna fu repertato a distanza di oltre un mese dalla data del primo sopralluogo, fatto che ha indotto i periti a rilevare delle “leggerezze” compiute dagli specialisti della Scientifica. Inoltre, sembra che non siano state seguite le “procedure internazionali di sopralluogo e di protocollo internazionali di raccolta e campionamento del reperto”. Non finisce qui. Di Amanda Knox non è stata trovata alcuna traccia biologica sulla scena del crimine e non è stato dimostrato neppure che Guede conoscesse la Knox e Sollecito. Rudy ha sempre detto di aver visto una figura che gli ricordava Sollecito, nulla di più.

Insomma, in casi di tale gravità accade spesso che gli accusati inizino a puntare il dito l’uno contro l’altro. Ma si presume che la giustizia, nel più breve tempo possibile, riesca a fare chiarezza anche sugli elementi che tendono a portarla fuori strada. Se così fosse i responsabili sarebbero comunque assicurati alla giustizia e i cittadini non si ritroverebbero davanti all’ennesima serie tv americana, per di più dal finale insolito: “To be continued…”.