Castro e Chavez ammalati sì ma di febbre gialla
02 Luglio 2011
In molti si interrogavano sul perché Chávez stesse prolungano così a lungo la permanenza a Cuba. Giunto sull’isola lo scorso 9 giugno, il presidente venezuelano non aveva più lasciato L’Avana, negandosi alla stampa, se non per centellinate uscite pubbliche. I rumors avevano iniziato a susseguirsi: sarà malato? Proprio come Castro (Fidel)? Stesso pensiero, stesso destino? L’arcano è stato risolto. “Ho il cancro”. Un videomessaggio di soli 15 minuti, trasmesso in differita da L’Avana sulle reti di Telesur, per annunciare ai venezuelani il perché di questa prolungata assenza dal paese. Per curare il suo male, Chávez ha preferito rivolgersi alle strutture sanitarie cubane (certo non un bel messaggio per i suoi compatrioti, anche se oggi si possono contare circa 30mila “medici volontari” cubani in Venezuela). Un cordone ombelicale, quello tra Castro e Chávez, che neanche la malattia sembra recidere.
Ispirati al socialismo del XXI secolo, Castrismo e Chavismo stanno vivendo un momento di crisi economica e depressione politica. Incentrati sul culto della persona (Fidel per Cuba e Hugo per il Venezuela), i due regimi social-comunisti devono necessariamente pensare a un “post-leader”. Al proprio destino, quando il caudillo dovrà per forza di cose ritirarsi dalla scena politica. La soluzione scelta sembra essere duplice: legare indissolubilmente il destino dei due paesi e cercare un’alleanza strategica con il cugino asiatico, la Cina.
Il triangolo dei Caraibi: così si potrebbe definire la complicata rete di relazioni che intercorrono tra Pechino, l’Avana e Caracas. Tre paesi –distanti geograficamente ma non sul piano ideologico– che oggi vivono un’interdipendenza strategica per la reciproca affermazione regionale (Venezuela e Cuba) ed internazionale (Cina). Una relazione complessa che si erge su oro nero ed armi.
Se il Venezuela è il primo partner commerciale cubano, la Cina ne è il secondo, grazie ai numerosi (e costosissimi) accordi bilaterali stretti negli ultimi 5 anni tra il regime di Hu Jintao e quello dei Castro. In pochi anni, Pechino è riuscita a togliere il primato a storici partner cubani del Vecchio Continente, come la Spagna, e stringere relazioni finanziarie e strategiche con l’Avana, convertendosi in una delle principali fonti di credito e finanziamento per l’intera isola. 1.800 milioni di dollari, circa 1.230 milioni di euro: questo il valore del flusso commerciale tra i due paesi solo nel 2010 (nel 2009 si attestava all’incirca sui 300 milioni di dollari). Una relazione commerciale di tutto rilievo, che si rafforza ancor più se si guardano gli accordi in materia militare e di cooperazione stretti negli ultimi anni, il cui ammontare (economico e militare) è spesso sottoposto a segreto, se non piccole indiscrezioni per alimentare la propaganda di stampa.
La politica cinese in America Latina, così come nel continente africano, si caratterizza per una ricerca meticolosa delle fonti dell’oro nero di cui Pechino necessita per sostentare la propria industria ed economia: accordi di grandi finanziamenti in cambio di petrolio a basso costo (per chi ne ha fatto la propria fonte di sussistenza economica statale, è certamente un grandissimo affare). Non è certo un caso che poco tempo fa i cubani –nelle vesti dell’azienda petrolifera statale cubana CUPET– abbiano deciso di appaltare la perforazione di vari pozzi petroliferi alla Corporazione Nazionale di Petrolio della Cina (CNPC). Una collaborazione strategica che spazia dall’estrazione del greggio alla sua raffinazione: in questo momento, infatti, Pechino sta finanziando un’importante opera di ammodernamento e riabilitazione della raffineria di Cienfuegos, un progetto che costerà circa 6.000 milioni di dollari. Fonti interne rivelano che, nel momento in cui il progetto verrà portato a termine, la raffineria di Cienfuegos produrrà giornalmente all’incirca tra 65.000 a 150.000 barili di oro nero. Stesso destino anche per la raffineria Matanzas: progetto a compartecipazione cinese e venezuelana, con probabile presenza spagnola. Si vocifera, inoltre, che il progetto costerà all’incirca 5mila milioni di dollari alla cordata di paesi investitori. Una bella cifra se si considera il periodo di crisi profonda che sta vivendo l’isola e le casse dello Stato cubano. Un programma di ammodernamento del settore energetico che abbraccia anche la sfera politica: il vicepresidente cinese, infatti, ha offerto al fraterno governo castrista il proprio appoggio per aiutarlo a portare a compimento il piano di riforme, a lungo promesso dalla famiglia Castro, tra cui anche l’apertura alle privatizzazioni.
Se, dunque, il cugino asiatico offre soldi e know how economico-politico per sostenere l’élite castrista nella propria rinascita, il vicino venezuelano continua a rinvigorire la Cuba comunista con intelligence, ideologia e uomini. È di queste settimane, infatti, l’annuncio congiunto dei due presidenti, Raul Castro e Hugo Chávez, di voler dare vita a una scuola di formazione delle Forze Armate dell’ALBA (Alianza Bolivariana para los Pueblos de América). Il progetto è stato definito dai colonnelli politici di Chávez come “un passo storico per costruire una dottrina latinoamericana, indipendentista, per la pace”. I paesi che fanno parte dell’ALBA sono Venezuela, Cuba, Bolivia, Nicaragua, Repubblica Dominicana, Honduras, Ecuador, San Vicente e le Granatine, Antigua e Barbados.
Un annuncio che potrebbe apparire quasi insignificante (data la propaganda continua portata avanti dai due governi per la promozione del socialismo del XXI secolo). Tutto cambia, però, se si osservano due fattori: in primo luogo, l’incontro tra Chávez e Castro jr è avvenuto poche ore dopo che il vicepresidente cinese, Xi Jinping, aveva lasciato l’isola; in secondo luogo, Cuba riceve giornalmente 100mila barili di greggio da Caracas, a un prezzo stracciato, frutto di accordi bilaterali tra i due paesi. Si aggiunga che i cubani “mandano amichevolmente” 30 mila medici e tecnici al Venezuela; un affare che permette al caudillo venezuelano di risparmiare in diversi settori e allo stesso tempo garantire la “trasparenza” della propria politica all’amico-ispiratore cubano.
Un asse del socialismo del XXI secolo (con un pizzico di comunismo made in China) che attraversa oceani e continenti e che (molto) dovrebbe preoccupare le stanze del potere di Washington: avere un’alleanza militare, economica ed energetica alle proprie porte, infatti, potrebbe rafforzare il sempre più diffuso sentimento antioccidentale che da lungo tempo aleggia in America Latina.