Via via la sensazione superficiale si fece sensazione di malessere
04 Agosto 2011
Ora tutto il discorso che stava formandosi nella mia mente prendeva una sua forma e un suo senso.
Ritornai a vedere le fotografie della scena dell’omicidio di Massimiliano, ma non mi diceva proprio nulla, ormai le conoscevo a memoria, eppure sapevo che c’era qualcosa che mi sfuggiva. Non riuscendo a cavare un ragno dal buco, passai alle fotografie del suicidio.
Le guardai attentamente.
Dal principio me ne accorsi in maniera molto imprecisa, come una sensazione epidermica. Via via quella sensazione superficiale si fece sensazione di malessere.
Mancava qualcosa. Mancava qualcosa. Mancava… lo specchio.
Quando avevo parlato con Mario Delusse, mi aveva detto che il suo principale aveva in ufficio uno specchio, ma che fine aveva fatto lo specchio?
Osservando meglio notai che su una parete c’era — appena percettibile, giusto l’idea — l’orma di qualcosa che prima era appesa. Non ebbi difficoltà a convincermi che si trattasse proprio dell’orma che aveva lasciato lo specchio scomparso. Che fine aveva fatto?
Chiamai Rita e la misi al corrente della mia scoperta. La prima cosa che fece fu accendersi una sigaretta e tirare due profonde boccate. Aprii la finestra per far uscire il fumo, anche se fuori c’era una temperatura siberiana.
Rimanemmo in assorto silenzio per qualche minuto, anche favorito dalla tranquillità della casa. Erano le sette, la Dirigente era da un’amica e lo Specializzando a lavorare.
Con la stessa aria assorta di chi fuma, anche io stavo gustandomi il fresco della sera che entrava e mi strappava al torpore del gelido calore dei termosifoni.
Un bel falò nel caminetto mi avrebbe riscaldato molto di più, in tutti sensi. Inspirai profondamente la corrente piacevolmente fredda, la sentivo scendere fin quasi negli alveoli.
Era profumata quell’aria, del profumo che ha l’aria invernale: di alberi accovacciati, di pioggia e di solitudine. D’estate, invece, dà di panni puliti e stesi, del dolce aroma delle zagare delicate e deliziose e degli alberi rinati.
– Come capisci, a questo punto tutto diventa il contrario di tutto.
Lei ne convenne.
– Se è stato veramente un suicido, la prima persona a entrare in stanza di Calcagni ha portato via lo specchio.
– La segretaria ci ha detto che appena ha sentito il grido è andata a vedere che cosa fosse accaduto al principale, dopo averlo trovato così ha chiuso la porta a chiave e ha aspettato il nostro arrivo. Quando siamo arrivati era in lacrime.
– Non ti sembra che Calcagni abbia saputo della morte del suo amante troppo presto? Praticamente in un quarto d’ora.
– Hai ragione, ma allora chi lo ha informato così presto?
– Ti do una mano: parola di nove lettere, sinonimo di persona che uccide.
– Macellaio! — gridò tutta trionfante.
– Assassino!
Per deviare il discorso dalla sua foratura, disse seccata:
– Vuoi chiudere la finestra, che ho freddo?!
– Io non posso morire asfissiato per… ripeti che hai detto.
– "Vuoi chiudere la finestra, che ho freddo".
Rimasi un attimo in standby e poi corsi in camera mia.
Ritornai da lei, che nel frattempo aveva acceso un’altra sigaretta, e le mostrai le fotografie. Le feci vedere in particolare la finestra aperta e le dissi concitato:
– Quella finestra, quando sono entrato era aperta. Sentendo la corrente, subito dopo essermi ripreso dallo spavento della scoperta di Max, sono andato a chiuderla.
– Non potrebbe essersi riaperta per il vento? — suggerì Rita.
– Non è possibile: non ho sentito la finestra sbattere.
– Forse l’hai riaperta tu senza rendertene conto.
Impossibile.