La statua di Giovanni Paolo II a Termini è un capolavoro o una garitta?
22 Maggio 2011
di Carlo Zasio
Una delle immagini più vivide e commoventi dei funerali di Papa Giovanni Paolo II, il vento che nel corso della cerimonia funebre l’8 maggio del 2005 si alzò all’improvviso quando la bara di cipresso fu portata sul sagrato della basilica di San Pietro facendo svolazzare le vesti cardinalizie e sfogliando le pagine del Vangelo posato sul feretro fino a chiuderlo, sembra palesemente contraddetta dalla pesantezza del monumento dedicatogli da Oliviero Rainaldi e posato lo scorso giovedì in piazza dei Cinquecento a Roma di fronte alla stazione Termini.
Una massiccia campana in bronzo a simboleggiare il mantello pontificio che papa Wojtila amava far roteare girando su sé stesso per abbracciare le folle dei fedeli sormontata da una testa inclinata assai poco somigliante al soggetto che l’ha ispirata: questo in sintesi il monumento che ha sollevato già numerosissime critiche, a partire dall’Osservatore Romano secondo cui “il risultato non sembra all’altezza dell’intento”. Il Comune, a fronte delle stroncature, si è preoccupato di far sapere di aver avuto il plauso e l’apprezzamento del bozzetto sia dalla pontificia commissione per i beni culturali che dal comitato tecnico di settore del ministero per i beni e le attività culturali. La prima ha detto però di aver visionato un bozzetto differente da quanto realizzato, mentre venerdì sera il Sottosegretario per i beni culturali Francesco Giro, definendola un’opera infelice, ha dichiarato che gli organi del ministero avevano manifestato perplessità, invitando l’amministrazione capitolina a rimuovere quanto prima la statua.
L’arte contemporanea, con cui la Chiesa sta cercando un dialogo attivo come dimostra l’intento di Monsignor Ravasi di realizzare nel 2013 un Padiglione Vaticano in seno alla Biennale di Venezia, rivela ancora una volta quanto sia vitale e dirompente e al contempo quanto sia difficile da maneggiare. Gli infiniti soprannomi dati al monumento di Pomodoro antistante il Palazzetto dello Sport di Nervi all’Eur, le aspre contrapposizioni tra Cattelan e Letizia Moratti sul pugno con il dito medio alzato di fronte alla Borsa di Milano, le polemiche sull’ago e filo di Oldenburg sul piazzale della stazione Cadorna sempre a Milano indicano quanto il sentire comune sia spesso distante da simili espressioni artistiche.
Dopo qualche tempo però, a forza anche dell’abitudine, questi segni, se autenticamente significativi e armoniosi, entrano a far parte della nostra realtà e cominciamo a comprenderli. Allora quel vuoto sottostante al mantello, magari dando riparo a qualcuno di noi sorpreso da un temporale improvviso, potrà diventare un simbolo dell’accoglienza, nonostante ora per alcuni cittadini rappresenti solo un potenziale rifugio per senza tetto e sbandati. E invece di una garitta, come è stata già chiamata, trasformarsi in una campana che suona per noi.