Non ci piacciono i giustizialisti ma non ci piace nemmeno Milanese

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Non ci piacciono i giustizialisti ma non ci piace nemmeno Milanese

12 Luglio 2011

Una delle conseguenze più gravi della persecuzione giudiziaria della quale è stato fatto oggetto Silvio Berlusconi da 16 anni a questa parte è il riflesso ormai consolidato nella classe dirigente del centro destra di leggere qualunque indagine giudiziaria, che veda coinvolti esponenti politici del PdL, come l’ennesimo capitolo della strategia di una parte della magistratura di abbattere per via giudiziaria il proprio avversario politico.

Nei giorni scorsi Angelino Alfano in una delle sue prime dichiarazioni da segretario era stato chiarissimo: “Qui di perseguitato c’è solo Berlusconi”. Come a dire che se altri verranno coinvolti in indagini non si aspettino una difesa per partito preso. E si è spinto sino ad evocare il “partito degli onesti”.

Ora sia chiaro a noi il “partito degli onesti” piace pochissimo, anche perché porta pure sfiga (ricordate le magnifiche e progressive sorti del Partito degli Onesti lanciato da Giorgio La Malfa). Preso alla lettera, rappresenta né più né meno che una versione soft del peggiore giustizialismo, ovvero di una visione totalitaria ed illiberale nella quale scompare la politica come libero confronto fra idee e valori relativi al bene comune e prende il suo posto una concezione etico-giudiziaria della vita politico-isituzionale. Un partito di persone oneste non ci interessa in quanto tale. Vogliamo un partito di persone che condividano, grossomodo, la nostra visione del mondo e che abbiano la capacità sufficiente per cercare di tradurre almeno in parte tale visione in scelte di governo.

Ma da questa doverosa premessa non può derivarne l’indifferenza per il profilo morale di chi è chiamato a svolgere funzioni pubbliche. In nome del rifiuto del giustizialismo e di una concezione etica della politica non può essere affermato il principio per cui tutti i mariuoli della mia parte vanno sempre e comunque difesi usque ad mortem. Una cosa è opporre la più fiera resistenza di fronte ad accuse rivolte al Presidente del Consiglio, riferite alla sua attività di imprenditore e non di politico, in alcuni casi del tutto inconsistenti, in altri riferite a fatti marginali, in ogni caso costruite con una determinazione ed un dispiegamento di mezzi investigativi degno di miglior causa (ed in ogni caso sintomo certo di fredda determinazione persecutoria), tuttaltra è catalogare nel fumus persecutionis anche i Rolex rubati, le Aston Martin di seconda mano o le vacanze al Plaza Hotel nella stanza vicina a quella della Ferilli. Per un liberale la politica è innanzitutto responsabilità individuale. E responsabilità individuale vuol dire che ciascuno si assume le conseguenze delle proprie scelte senza poter invocare solidarietà politiche che spinte oltre un certo livello sono, oltre che ingiustificate, del tutto inutili.

Ma se questo è vero, allora Alfano si gioca una partita importante proprio su come il PdL deciderà di gestire nelle prossime settimane i casi che hanno coinvolto i parlamentari Alfonso Papa e Marco Milanese. Difendere le essenziali prerogative del Parlamento è doveroso (ma possibile che i magistrati non riescano proprio a portare a termine un’indagine e a chiudere un processo a carico di politici senza ottenerne la carcerazione preventiva?). Ma, far passare il principio che i politici siano legibus soluti e che le indagini che li riguardino siano per definizione persecutorie sarebbe inaccettabile. Se qualche esponente politico ha sbagliato è giusto che paghi. Ed anzi il partito dovrebbe essere particolarmente arrabbiato con lui perché la sua condotta rischia di rovinare l’immagine e la credibilità del partito. Del resto, se si ritenesse la richiesta di arresto frutto di un disegno persecutorio, ebbene, allora, si neghi l’autorizzazione all’arresto e contemporaneamente si deliberi l’espulsione dal gruppo!

Ma c’è un altro punto dolente che emerge dalle più recenti indagini. Al di là della consistenza giudiziaria delle inchieste delle procure, al di là della effettiva configurabilità come reati di condotte che in alcuni casi (ad esempio le raccomandazioni della cosiddetta P4) sono esperienza comune di chi vive nelle istituzioni, al di là della qualità (e non solo della quantità) delle prove raccolte, quello che preoccupa nel quadro che leggiamo sui giornali è la assoluta pochezza della qualità umana e politica dei personaggi coinvolti. I fatti contestati sono indice di personalità assai modeste che uniscono alla bassa moralità ed al bassissimo profilo culturale una disinvoltura ed un cinismo allarmante sul piano del giudizio umano.

Nel caso dell’inchiesta di questi ultimi giorni vi è financo un livello di cattivo gusto che è francamente intollerabile per chi voglia rappresentare il Paese nel cuore delle istituzioni. Certo in passato avevamo avuto la piscina a forma di cozza di Clemente Mastella (che peraltro non integrava un fatto di reato e fu dal medesimo recisamente smentita). Ma quello poteva essere il frutto di un gusto un po’ bovaro e provinciale. Ma la vacanza natalizia al fianco della starlet (per di più militante di sinistra) e la Aston Martin (e mi raccomando che sia nuova) battono tutti i record. E sebbene penalmente irrilevanti, per un conservatore certe cadute di stile sono assai più gravi ed imperdonabili!

Il fatto è che Berlusconi impegnatosi nell’impresa titanica di costruire una nuova classe dirigente in quattro e quattr’otto, non ha avuto modo di svolgere un’adeguata selezione del personale politico. E così intorno al leader ed intorno a quel nucleo vero di uomini di governo che si è formato in questi anni (e penso a Tremonti, Sacconi, Brunetta, Frattini, Meloni …) si è sviluppato un ceto di faccendieri, un sottobosco di millantatori e di trafficanti vari che, privi di una qualunque passione politica sono interessati unicamente a massimizzare il proprio tornaconto. Che Berlusconi non ce la facesse a costruire una classe dirigente di qualità è comprensibile non solo per il tempo ridotto a disposizione ma anche perché proveniva da un contesto, quello della una grande impresa, dove le regole di selezione dei dirigenti ed il sistema degli incentivi sui risultati dei medesimi sono affatto diversi rispetto a quelli della politica. Ma oggi abbiamo all’orizzonte il tema della successione a Berlusconi nella leadership del centro destra e della strutturazione del PdL. Ed allora quello della selezione di una classe dirigente all’altezza della sua “missione” è il vero banco di prova del nuovo segretario.