Con la manovra il governo scrive una bella pagina ma resta una macchia

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Con la manovra il governo scrive una bella pagina ma resta una macchia

14 Luglio 2011

Quella scritta ieri in Senato è una delle poche belle pagine che la politica italiana ha saputo offrire al Paese negli ultimi tempi. Una pagina nella quale un Governo riesce a dimostrare di essere all’altezza della sua funzione e di proporre una manovra seria di contenimento del deficit, portando a casa in pochi giorni un provvedimento assai impegnativo riuscendo per di più a sottrarsi al gioco delle infinite mediazioni parlamentari che nella storia, anche recente, del Paese avevano speso, troppo spesso, annacquato le strategie dell’Esecutivo e, alla fine della partita, indebolito la sua capacita di governo.

Una pagina nella quale l’opposizione, senza rinunciare alla propria netta contrarietà sul merito delle scelte del Governo, rinuncia alle tattiche dilatorie e paleo ostruzionistiche, cui troppo spesso ha fatto sinora ricorso e riconosce alla maggioranza la piena legittimità a realizzare in tempi ragionevoli gli interventi proposti dal Governo medesimo. Sarà stato per i colpi di coda della crisi economico – finanziaria che ha investito il pianeta negli ultimi anni, sarà stato per la fibrillazione dei mercati, sarà stato per la mediazione (finalmente) istituzionale del Presidente Napolitano, ma certo la nostra democrazia è sembrata almeno un po’ più vicina a quello che rappresenta l’archetipo dei sistemi democratici moderni, il modello Westmister. Il ché, oltre ad essere per noi fonte di soddisfazione morale, e anche elemento di rassicurazione di fronte alle turbolenze finanziarie che rischiano di travolgere il Paese.

Ma, occorre dirlo, la bella pagina è stata macchiata dall’iniziativa assunta da un nutrito gruppo di senatori della maggioranza che nella serata di ieri ha diffuso un documento nel quale comunicavano che non avrebbero votato la manovra se il Governo non avesse rinunciato all’emendamento che prevedeva un drastico processo di liberalizzazione delle attività professionali, mettendo in discussione privilegi e rendite di posizione, barriere all’ingresso, interessi parassitari legati all’esistenza degli ordini professionali e delle relative casse di previdenza. Sia chiaro probabilmente l’iniziativa del Ministro Tremonti era troppo garibaldina del metodo e troppo improvvisata nel merito. Pensare di affrontare e risolvere con un tratto di penna l’annoso problema delle professioni era se non altro velleitario. E una politica che voglia essere all’altezza della sua funzione teme il velleitarismo come uno dei suoi più insidiosi nemici.

Ma quello che proprio non va giù è la pochezza politica di parlamentari che pur di difendere interessi settoriali, in alcuni casi ragionevoli in altri schiettamente corporativi, ha minacciato di far crollare tutto. E la minaccia ha avuto un successo, almeno parziale. Il Governo ha ritirato l’emendamento ed ha presentato una nuova formulazione assai più blanda. Ma gli amici senatori avvocati o notai non hanno troppo da gioire. In realtà, il testo effettivamente presentato e poi approvato fissa una procedura con tempi rapidi di completamento (8 mesi) al termine della quale il Governo è impegnato ad una riforma complessiva dell’ordinamento delle professioni. La norma approvata sancisce infatti il principio in base al quale, se allo scadere degli 8 mesi non sarà stato raggiunto l’accordo per riformare il settore, tutto ciò che non è espressamente vietato sarà lecito. Certo vengono genericamente escluse le professioni tutelate dall’articolo 33 della Costituzione e in ogni caso si tratta di un principio molto generico la cui traduzione pratica andrà verificata. Ma in ogni caso il principio conferma che il tema è nell’agenda del Governo e che atteggiamenti puramente conservatori e corporativi non saranno sufficienti ad impedire passi in avanti nella strada delle liberalizzazioni.

Ma al di là della questione di merito, l’episodio segnala come la massiccia presenza di professionisti (che continuano ad esercitare la professione) in Parlamento determini un serio  problema istituzionale. Intendiamoci non ci uniamo a quanti vorrebbero sancire l’assoluta incompatibilità fra mandato parlamentare ed esercizio di un’attività libero professionale. Ma, certo dall’episodio di ieri si evince come talvolta alcuni (troppi) dei nostri parlamentari che sono al tempo stesso avvocati, notai, medici o quant’altro si comportino nelle aule parlamentari più come professionisti (o come tutori delle lobbies dei professionisti) che come rappresentanti del popolo. Il che purtroppo ci dimostra che, anche se abbiamo fatto qualche passo avanti, siamo ancora molto lontani da Westmister.