Quelli che urlano allo scandalo per gli aiuti alla Chiesa sono in malafede

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Quelli che urlano allo scandalo per gli aiuti alla Chiesa sono in malafede

19 Dicembre 2011

Nel convegno sui centocinquant’anni dell’unità italiana, tenutosi Sabato 17 a Montecompatri su iniziativa del Centro per la Filosofia Italiana il costituzionalista Alessandro Catelani (Università di Siena), nella sua bella relazione sulla scuola pubblica e la scuola privata nello Stato unitario, ha sostenuto la tesi che l’art. 33 della Costituzione: "L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta le nome generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti privati hanno il diritto di istituire scuole e istituti di educazione senza oneri per lo Stato" viene male interpretato dalla cultura giuridica dominante.

Per Catelani, le parole “senza oneri per lo Stato” non configurano alcun divieto né rappresentano un vulnus alla laicità iscritta negli articoli della Costituzione repubblicana. In un’ottica liberale, non gli si può dare torto: se ogni sostegno agli istituti che producono arte e scienza fosse incostituzionale, dovrebbero chiudere i battenti non solo le fondazioni e il vario arcipelago editoriale che vive grazie a quella che il liberalismo libertario definirebbe ‘carità pubblica’ ma, altresì, tutte quelle industrie culturali — a cominciare da quella cinematografica — e quelle Università private che, da sole, “non ce la farebbero”.

L’incomposto agitarsi del mondo radicale ogni volta che i governi vengono a soccorso di istituti religiosi sarebbe credibile se ci si spiegasse perché aiutare quanti diffondono le ‘dottrine sociali della Chiesa’ significa essere eterodiretti dal Vaticano mentre, ad esempio, dar soldi a una Compagnia teatrale che diffonda le idee e la visione del mondo di Bertolt Brecht o a una Fondazione che tenga viva la lezione di Antonio Gramsci significa promuovere la formazione culturale dei cittadini. Personalmente non darei un centesimo (di denaro pubblico, beninteso) né agli uni né agli altri ma non riterrei affatto “illegittima” la decisione di governi, di diverso segno ideologico,di venir incontro al loro pubblico di riferimento (semmai non darei il voto né a cattolici né a comunisti, come peraltro non l’ho mai dato).

Se vogliamo evitare la ‘guerra civile’ dobbiamo rassegnarci al fatto che le leggi (e i provvedimenti) che non ci piacciono non per questo sono incostituzionali e che un governo e una maggioranza parlamentare intenzionati a istituire, che so io?, un Museo del fascismo e dell’antifascismo in virtù del valore educativo e culturale di detto Museo hanno tutto il diritto e la libertà di farlo, anche se a cittadini come lo scrivente l’idea sembra pessima. Dove però non posso più consentire con l’amico Catelani è nella sua concezione del pluralismo scolastico, riconosciuto dalla Costituzione, che, per essere coerente, a suo avviso, dovrebbe tradursi in un dovere dello Stato (iscritto nella Magna Carta?), a porre sullo stesso piano ‘scuola pubblica e scuola privata’ per quanto riguarda le risorse concrete a loro disposizione.

Tale pretesa rivela una lontananza dall’universo liberale pari a quella dei nemici di sinistra della ‘società aperta’. Per i cattolici integralisti come per i ‘democratici sociali’ di tutte le specie, la negativa ‘libertà da’—il mio diritto ad aprire una scuola o un centro culturale senza esserne impedito da nessuno — non ha senso se non si accompagna alla positiva ‘libertà di’ — il possesso di mezzi soprattutto economici che mi consentano di aprire la scuola o il centro. A cosa serve, argomenterebbe Catelani, la libertà, per i Gesuiti, di aprire un Liceo classico se non hanno i soldi per farlo? I critici del liberalismo, nell’Ottocento, usavano argomenti non dissimili: a che serve il diritto alla libera scelta del lavoro se non vi è la garanzia del lavoro per tutti? A che servono i diritti politici senza una casa e un’occupazione decente che consentano di esercitarli in maniera informata e responsabile?

A ben riflettere, lo spartiacque tra liberalismo e non liberalismo sta, ancora una volta—come aveva compreso Maurice Cranston a torto criticato da Raymond Aron– nella costituzionalizzazione dei ‘diritti sociali’ che, per gli uni, i liberali, sono impensabili senza una nuova ‘costituzione economica’ incompatibile con la proprietà privata e col mercato, per gli altri, i non liberali, rappresentano il naturale supporto dei diritti civili e politici. Catelani vorrebbe elevare a ‘diritto sociale’ la libertà dei genitori di scegliere per i figli le suole confessionali, la sinistra non riformista vorrebbe subordinare ai diritti dei lavoratori tutti gli altri — a cominciare dal ‘diritto di proprietà’ che un noto giurista liberal ha definito “ciò che rimane al cittadino dopo aver adempiuto a tutti i suoi obblighi fiscali”.

Non vorrei essere equivocato: che una società che disponga di adeguate risorse si preoccupi di far  avere un tetto e un impiego ai cittadini meno abbienti, attraverso un’ampia gamma di provvedimenti sociali, mi sembra giusto e doveroso. A differenza dei puristi del costituzionalismo liberale, mi rassegnerei, persino, a vedere iscritto tale impegno nella Costituzione come ‘dichiarazione di intenti’. A patto, però, che si tenga ben distinto il piano delle ‘norme fondamentali’ da quello della legislazione ordinaria: nel primo vige l’esigibilità dei diritti (il mancato rispetto dei diritti civili e politici può venir portato in tribunale), nel secondo vige il principio dell’opportunità “politica” ovvero la libertà dei governi di disporre, come meglio credono, del denaro pubblico e di venire incontro alle richieste — che variano nel tempo e nello spazio — dei vari gruppi sociali.

In base alla logica di Catelani, se si riconosce il ‘pluralismo culturale, etnico, religioso etc. perché non rimanga ‘platonico’, quel pluralismo dev’essere incoraggiato, sostenuto, ‘finanziato’ e, per coerenza, ‘costituzionalizzato’. Ci troviamo dinanzi a un esempio da manuale della differenza tra pluralismo (cattolico e non) e liberalismo: il liberalismo, a differenza del radicalismo laicista, non vieta di sostenere istituzioni che possano sembrare, di volta in volta, utili per l’arricchimento culturale e morale dei cittadini ma, a differenza dei cattolici pluralisti, non fa di quel sostegno un diritto indisponibile che possa venir legittimamente rivendicato davanti a un giudice – o, per lo meno, davanti al tribunale dell’opinione pubblica – da parte di quelle istituzioni.

Il baricentro resta sempre il ‘popolo sovrano’ che può decidere di tutto (aiutare Tizio invece che Caio o Caio invece che Tizio) ma non può decidere di limitare i diritti civili e politici di nessuno, anche se a volerli manomettere, come ricordava il vecchio John Stuart Mill, fosse una maggioranza di 99 cittadini elettori contro uno solo.