Tornatene a casa, Erdogan
15 Settembre 2011
Scontro frontale tra i Fratelli Musulmani egiziani e Tayyp Erdogan sul tema centrale dell’assetto laico dello Stato in Egitto. Nel discorso ufficiale nella sede della Lega Araba, il premier turco è stato infatti netto nella condanna di ogni processo di islamizzazione dello Stato: “Io sono islamico, non laico, ma sono primo ministro di uno stato laico e dico: spero che ci sarà uno stato secolare in Egitto; non bisogna diffidare della laicità; l’Egitto crescerà nella democrazia e chi sarà chiamato ad elaborare la Costituzione deve capire che deve rispettare tutte le religioni e tenersi alla stessa distanza dagli adepti di tutte le religioni, perché tutta la società possa vivere in sicurezza”.
Una frustata al principio fondante dell’islamismo e l’indicazione di un percorso opposto a quello intrapreso nei primi mesi di libertà dall’Egitto. Immediata e sferzante la replica polemica dei Fratelli musulmani, gli unici che si sono dissociati dalle entusiastiche accoglienze ricevute dal premier turco al Cairo. Mahmoud Ghuzlan, loro portavoce e Issam Aryane, vice presidente del partito della Fratellanza “Giustizia e Libertà” hanno subito polemizzato con Erdogan: “Non ha alcun diritto di ingerirsi negli affari interni dell’Egitto”. Il fatto è che Erdogan ha portato al Cairo il segno concreto della potenza della Turchia con la promessa di sostanziosi aiuti economici, ma soprattutto un progetto di leadership sul mondo arabo nel segno di una rottura con l’Islam politico, anche moderato. Il laicismo difeso da Erdogan è infatti il punto discriminante tra il progetto del suo Akp e tutte le altre correnti islamiche. E’ anche il suo punto di forza, che ha permesso alla sua Akp di attirare il consenso dei settori produttivi più moderni della Turchia. Con la difesa della laicità dello Stato pronunciato a un passo dalla Università di al Azhar che è il simbolo della condanna della stessa laicità, Erdogan ha dato l’ulteriore segno della complessità del suo disegno.
Il premier turco che oggi si propone a capo del fronte di contrasto con Israele sulla questione palestinese (ma senza mai metterne in discussione la piena legittimità come stato), è infatti lo stesso che nell’aprile del 2003 inviò la flotta turca a difendere le coste di Israele dal possibile lancio di missili di Saddam Hossein, che nel 2005 ricevette il premio dalla ebraica Anti Diffamation League Usa pronunciando un vibrante discorso contro l’antisemitismo e di condanna della Shoà e che nel 2006 firmò un contratto per fornire a Israele 50 milioni di tonnellate di preziosa acqua e innumerevoli contratti (oggi sospesi) per forniture militari da Gerusalemme. Un percorso di apparente contraddizione in un personaggio che non è mai stato antisemita, ma che indubbiamente condivide il pregiudizio antigiudaico di tanti statisti europei di matrice cristiana, come Aldo Moro, o laica, come Charles De Gaulle che trattò Israele nel 1967 con ben maggiore virulenza politica e verbale.
In realtà un percorso determinato dalla spregiudicata (e cinica) volontà di capitalizzare la fine dei regimi arabi e l’esaurimento della fase della politica israeliana dominata dalla capacità di manovra di Ariel Sharon che ritirò Idf da Gaza, e dal consolidarsi col governo di Bibi Natanyhau, di una fase di stasi di iniziativa politica di Gerusalemme. Erdogan, capitalizza gli errori di Israele (le nove uccisioni sulla Mavi Marmara frutto di un approccio militare dilettantesco), lo stallo nei negoziati con Abu Mazen con una difesa impolitica dei settlements, inclusi quelli non necessari alla sicurezza e ora la divisione del governo israeliano con un Netanyhau disposto a firmare delle “quasi scuse” ad Ankara per chiudere la risi della Mavi Marmara, per poi recedere a fronte delle minacce di Avigdor Liebermann. Sin sintesi, Erdogan punta su uno sviluppo nazionalista e non islamista della leadership palestinese, sino al punto di flirtare con Hamas. Un gioco pericoloso, che dà spazio all’estremismo, ma non privo di una sua dignità e –forse – anche vincente.
(Tratto da Il Foglio)