Che c’entra Bernard-Henri Lévy con le questioni di politica energetica libiche?
16 Settembre 2011
Nulla da eccepire sul viaggio di Nicolas Sarkozy e David Cameron a Tripoli. Ma Bernard-Henri Lévy, come usa dire un noto pensatore italiano, che c’azzecca? Il presidente francese e il premier inglese hanno voluto l’avventura libica per evidenti ragioni energetiche, sono riuscite ad imporla al mondo e all’Onu, hanno rischiato – poco – mandando i loro aerei a bombardare – e le loro forze speciali a fare una “guerra sporca” quanto segreta sul terreno – hanno vinto e ora meritano il loro “tapis rouge” nella capitale libica, con contratti annessi.
Sarkozy, naturalmente, ha smentito che vi siano “accordi petroliferi segreti”, e ancor più che vi sia stata, come rivela il pur autorevole Libération, una mainmise addirittura del 35% sul Brent libico siglata dal Cnt a inizio operazioni, in cambio dell’appoggio militare: “I documenti pubblicati da certa stampa” sono dei falsi, è manipolazione. Grato, Abdel Jalil, il presidente del Cnt ha comunque ammesso che sì, effettivamente “gli alleati che hanno partecipato alla guerra contro Gheddafi avranno una priorità nei futuri accordi”. Fedele alla sua tradizione di tappetaro e voltagabbana (è stato sino a febbraio il fedele e feroce ministro della Giustizia di Gheddafi), Jalil ha anche svelato il trucco: “I contratti in vigore saranno rispettati, ma alcuni potrebbero essere rivisti in caso di corruzione”. Quindi, siccome in tutti i contratti con la Libia vi sono stati casi di corruzione (la British Petroleum ha ammesso il suo interessamento “pesante”, premier Gordon Brown, addirittura perché venisse liberato dal carcere inglese al Meghrai, autore dell’orrendo attentato di Lockerbie), il Cnt deciderà di far saltare i contratti “inquinati” con le nazioni meno amiche (Germania, Cina e Russia in testa, probabilmente), per passarli a quelle “amiche”, che hanno egualmente “inquinato”, ma che saranno perdonate. Realpolitik, con la politica energetica in primo piano, come da prassi.
Ma tutto questo non dovrebbe interessare il nouveau philosophe Bernard-Henri Lévy, che della guerra in Libia è stato il più strenuo promotore e aedo, sino a esercitare, anche grazie a Carlà che è stata tempo fa – si dice – la sua ragazza, un ruolo determinante su presidente francese. A lui si chiede coerenza intellettuale e morale, parole chiare, alte, ferme e indignate per il disastro che con sempre maggiore chiarezza si sta delineando nella sua tanto invocata “nuova Libia”. Un corrispondente di guerra di grande esperienza e grande autorevolezza come Mimo Candito, poche settimane fa, entrato in Tripoli liberata, ha scritto che molto dava da pensare che in realtà la Nato abbia costruito una “nuova Beirut” in una capitale libica pattugliata da bande armate palesemente fuori controllo.
Il 14 settembre, lo sheikh Ali Sallabi, riferimento religioso e teologico di Abdel Hakim Belhaj, nominato da Jalil comandante militare di Tripoli (nonostante si stato un terrorista islamico, imprigionato a Guantanamo) ha pienamente confermato questa previsione scagliandosi con parole di fuoco contro il capo del nuovo governo libico: “Mahmud Jibril cerca di dare ai suoi i mezzi per gettare le basi di uno Stato totalitario. Jibril vuole rubare la rivoluzione. Non vogliamo più rivivere l’era di Gheddafi, non vogliamo che Jibril resti al comando per otto mesi, per avere tutto il tempo necessario a riaffermare il suo controllo sullo Stato”.
Non solo, Ian Martin nominato dal segretario dell’Onu Ban Ki Moon inviato speciale per la ricostruzione in Libia, ha steso un rapporto confidenziale in cui afferma che “gruppi di opposizione hanno ucciso, abusato e detenuto illegalmente diverse persone e hanno razziato, depredato e bruciato alcune proprietà private”. Ian Martin ha anche confermato le denunce precedenti e successive di Amnesty International, di Human Right Watch e di molte Ong circa il trattamento feroce inflitto dalle truppe del Cnt agli immigrati sub sahariani – a torto considerati in massa e senza distinzioni mercenari di Gheddafi – “sottoposti a trattamenti inumani e crudeli, talvolta anche uccisi in maniera arbitraria”. Corposo ormai il dossier di Amnesty sulla violazione continua dei diritti umani da parte del Cnt come sul suo rifiuto di intervenire in modo deciso per impedirli.
Poi, le prese in giro. A fine agosto, nel corso di una sua visita all’Eliseo, Jibril, capo del governo provvisorio del Cnt, ha promesso, davanti ad un Bhl in preda a frissons umanitari, che la nuova Costituzione libica si “baserà su: Liberté, Egalité, Fraternité!”. Applausi. Tornato in Libia lo stesso Jibril ha poi presentato una Costituzione che recita nel suo preambolo che “la sharia è l’unica fonte di riferimento della legislazione” e assicurato che sarà “uno Stato islamico”. Ora, anche se la si pronuncia alla francese – sharià – la legge islamica può forse genericamente essere compatibile con la Fraternité, ma assolutamente non prevede Liberté e tantomeno Egalité.
Non basta: passate settimane dalla caduta di Tripoli e dall’evidenza della sconfitta militare di Gheddafi, le forze del Cnt non sono ancora in grado di andare via terra da Bengasi a Tripoli per la semplice e drammatica ragione che la provincia di Sirte è ancora in mano ai lealisti del raìs, così come Bin Walid, Sheba e larga parte del Sud della Libia. Avevamo previsto che il raìs avrebbe puntato a tenere in vita un “Gheddafistan” e i fatti ci stanno purtroppo dando ragione.
Questo avviene – il punto è questo – non per ragioni militari (i libici hanno chiesto e ottenuto da Sarkozy e Cameron nuove armi per dare la caccia al raìs), ma perché con tutta evidenza è ancora fortissima la presa politica e la solidarietà etnica e tribale riscossa dal Colonnello tra molti libici. Il tutto mentre le disorganizzazione, l’incapacità di combattere e l’inefficacia militare delle forze armate del Cnt – là dove non sono sostituite dal potere di fuoco enorme dell’aviazione Nato – sono drammaticamente vicini allo zero.
Tutte le condizioni sono dunque poste per una “nuova Libia” caotica, in preda a cento faide, vendette, guerre tribali e religiose, inclusa l’attività libera dei gruppi al qaidistio che –protetti dal Cnt – da febbraio tengono in vita uno “sceiccato islamico” a Derna. Una Libia in cui forse si riuscirà a pompare energia, ma solo perché da qui a poco il Cnt chiederà e otterrà un presidio militare di terra dei pozzi e delle pipelines da parte della Nato. Ma nulla più. Con tutta evidenza, però, di tutto questo non si occupa e preoccupa l’ottimo Bérnard-Henri Lévy che ormai ha fatto la sua muta: da nouveau philosophe è diventato un perfetto nouveau pétrolier.