“Super 8” celebra l’intramontabile mito della fantascienza alla Spielberg
18 Settembre 2011
Prendiamo l’apertura di “Twilight”, la serie di romanzi, trasportati sullo schermo con successo planetario, scritti da Stephenie Meyer, 30 milioni di libri venduti ovunque, copia più copia meno. Una giovane ragazza, Bella, si è trasferita dal college dall’assolata Arizona all’estremo occidente degli Stati Uniti, confinante col Canada, landa gelida e piovosa. Vive sola col padre (separato dalla madre), poliziotto. E prendiamo l’apertura di “Super 8”, il nuovo bellissimo film di J.J. Abrams (sceneggiatore, produttore, ideatore di serie televisive di culto, regista di “Mission: Impossibile III” e “Star Trek”), realizzato e supervisionato da Steven Spielberg. Joe è un po’ più piccolo di Bella. Ha quattordici anni e vive insieme al padre, vice-sceriffo di una piccola cittadina dell’Ohio, poiché ha perso la madre, deceduta in un incidente sul lavoro in fabbrica.
In entrambi i casi l’adolescente protagonista della storia alla fine si troverà a contatto con l’insolito, il mostruoso e in fin dei conti il meraviglioso. Bella, come noto, si innamora di un affascinante vampiro, che non intende però affondarle i canini nella gola. Joe, nell’estate del 1979 è impegnato assieme ad un gruppo di amici a girare uno zombi-movie amatoriale, in Super 8. Al gruppetto di cineasti in erba (dieci anni prima avrebbero pensato ad un western, ora invece la buttano sul sangue) non manca certo la fantasia. Una scena importante del loro film è ambientata alla stazione, mentre passa un treno nella notte. Vengono filmate così, involontariamente, “in diretta” (come fece Abraham Zapruder mentre centravano nel 1963 a Dallas il cranio del presidente J.F. Kennedy, facendolo esplodere), oltre alle immagini del tremendo disastro ferroviario, anche le prove della presenza di una “creatura” incredibile, naturalmente extraterrestre.
Da questo momento parte un grandioso e spettacolare omaggio alla fantascienza di celluloide di Steven Spielberg. Ragazzi di provincia, casette a due piani, cani misteriosamente in fuga, biciclette sfreccianti, fenomeni inspiegabili, militari disonesti e per nulla solidali con la popolazione, alieni buoni, amicizie difficili ma salde, primi turbamenti sentimentali. È il sin troppo chiaro riconoscimento del talento di alcuni registi, Spielberg e George Lucas su tutti, che negli anni Settanta del secolo passato, sono riusciti a cambiare la pelle al cinema americano (e all’immaginario collettivo), attraverso la fantascienza, trasferendo nelle immagini un universo di valori, sentimenti, speranze e desideri, divenuto cultura popolare (J.J. Abrams è nato nel 1966, e aveva undici anni quando uscirono “Incontri ravvicinati del terzo tipo” di Spielberg e il primo episodio di “Guerre stellari” di Lucas). Lo schermo cominciò a riempirsi di alieni amici (“E.T.” si rivelò il paradigma insuperabile), e ciò voleva dire che la “guerra fredda” (di cui il Vietnam e il radicalismo culturale erano stati le ferite più devastanti e difficili da rimarginare) era davvero finita.
Adesso dal cielo non piovevano più minacce, ma suggerimenti a saper guardare oltre i confini dell’uomo e dell’universo. Il rifugio nella fantasia fu un modo per saltare a piè pari le storture della realtà (l’impero sconfitto da un esercito orgoglioso di straccioni con gli occhi a mandorla, lo scandalo Watergate, la recessione economica, la disoccupazione a due cifre, il declino industriale, l’esplosione della violenza metropolitana, la desocializzazione). La speranza, la positività del finale, la comprensione e solidarietà tra padri e figli (mentre la società radicale postulava la necessaria rottura generazionale), la timidezza e il rossore romantico (quando il sesso era diventato il metro per misurare l’ampiezza della liberazione), l’illusione che i confini dell’universo andassero estesi all’ultraumano (e che questo fosse meglio dell’umano): tutto ciò a molti apparve spirito regressivo, espressione di tradizionalismo e provincialismo, esaltazione della comunità quale freno all’individualismo. In realtà era solo la ribellione dell’uomo al relativismo morale. Ieri come oggi.