Su Cipro la Turchia rischia di rompere con Israele e l’Ue rimane a guardare
22 Settembre 2011
di Nino Orto
Negli ultimi tempi, con i vecchi assetti geopolitici dell’area mediorientale in fibrillazione dopo il deteriorarsi delle relazioni turco-israeliane e la progressiva radicalizzazione di ambedue le parti sulle proprie posizioni, ci si chiede se la Turchia di Erdogan abbia voltato completamente le spalle all’Occidente o la sua sia solo una strategia tesa alla ridefinizione della propria posizione nella regione a scapito di Israele.
In un escalation di bellicosità, l’ultimo monito in ordine cronologico Erdogan lo rivolge direttamente all’Unione Europea, minacciando la rottura dei rapporti diplomatici se la presidenza del Consiglio dei ministri europeo, da luglio a dicembre 2012, dovesse toccare alla Repubblica di Cipro. Della parte greca però, l’unica che dopo il conflitto del 1974 tra Grecia e Turchia e la successiva divisione dell’isola in due parti, sia stata riconosciuta internazionalmente e sia entrata a far parte dell’UE.
Ed è qui che i problemi cominciano a farsi seri nelle frizioni tra le due capitali mediorientali. Nell’arco di un paio di anni abbiamo assistito all’evoluzione della crisi osservando dapprima il raffreddamento dei rapporti diplomatici e successivamente il sostanziale congelamento delle relazioni, soprattutto basandoci su motivazioni politiche e ideologiche. Tuttavia bisogna ricordare che quello a cui stiamo assistendo è una vera e propria guerra combattuta con il silenziatore.
Se la Turchia, nella radicalizzazione della propria dialettica verso il paese ebraico, ha agito in maniera da poter raccogliere credito politico all’interno del mondo arabo tramite le roboanti e bellicose dichiarazioni e le aggressive politiche del suo premier Erdogan, Israele ha agito nell’ombra finanziando ed addestrando guerriglieri del PKK nell’Iraq settentrionale contro l’esercito turco, massimizzando l’effetto deterrente nei confronti di Ankara durante l’assalto alla Mavi Marmara, creando dal nulla una nuova alleanza militare con la Grecia, e adesso non temendo di stuzzicare Ankara anche sulla questione delle perforazioni a Cipro.
Per la Turchia, quest’ultima manovra israeliana nel Mediterraneo diventa una vera e propria sfida ed un intrusione nei propri affari interni (la parte turca di Cipro riveste un importanza geostrategica fondamentale tanto da essere considerata da Ankara una propria regione amministrativa) e rappresenta una minaccia tanto nell’ambito della sicurezza nazionale quanto a livello di sfruttamento energetico delle risorse, punto fondamentale anche per Israele, soprattutto alla luce dell’evoluzione politica dell’area che la rende sempre più isolata e sicuramente più aggressiva.
La partita che si gioca attualmente tra Tel Aviv e Ankara rispecchia un più ampio scontro regionale che non si limita solo all’ambito politico e militare, ma anche e soprattutto sul piano dell’energia. La Turchia è un Paese fortemente dipendente sul piano del settore energetico giustificato da un Pil con una crescita media annua del 8,5%, e da un aggressivo processo di “gasificazione” dell’approvvigionamento energetico promosso dal colosso nazionalizzato Botas. In particolare, il 65% delle sue importazioni di energia e il 30% di quelle di petrolio greggio vengono dalla Russia. Si capisce dunque perché il governo turco rivolga la massima attenzione alla scoperta del nuovo giacimento al largo delle coste di Cipro denominato Leviatan, e sia piuttosto suscettibile alle ricerche nel cosidddetto Block 12, situato tra Israele e la parte greca dell’isola di Cipro, da cui di fatto la Turchia è tagliata fuori.
Il governo di Ankara sta prendendo in considerazione nuove rotte di approvvigionamento, partendo dal quadrante caspico e mediorientale è in atto una política energética a più strati che segue gli interessi della nazione e del suo nuovo ruolo nella regione in vista di un progressivo alleggerimento della dipendenza da Mosca ed un incremento delle relazioni con l’Iran. Tuttavia un ragionamento in puri termini economici non riesce a cogliere appieno la strategia turca.
Il viaggio di Erdogan in Egitto, Libia e Tunisia unito ai toni sempre più duri utilizzati contro Gerusalemme, hanno messo a nudo la spregiudicata strategia del governo turco che nella nuova fase sacrifica Israele ma non necessariamente l’Unione Europea per la propria ambizione regionale. Erdogan sà bene che la speciale posizione geografica della Turchia la pone come partner privilegiato dell’Ue e stimato membro della Nato consentendogli ampie manovre politiche per il proprio sviluppo e per espandere la propria influenza (positiva in teoria) nell’area a scapito dell’Iran. Tuttavia tale margine di manovra è limitato in ambito internazionale dall’appartenenza a pieno titolo alla Nato e alle istituzioni sovranazionali occidentali.
Erdogan mira a far divenire la Turchia una nuova potenza economica nella regione coltivando l’ambizione di divenire presto un hub o paese intermediario del gas sfruttando politicamente la sua posizione geografica di ponte tra paesi produttori e consumatori nel sistema regionale di commercio degli idrocarburi. La scoperta del giacimento Leviatanus e l’accordo di Israele con la Cipro greca per iniziare i lavori di trivellazione mettono in serio pericolo questo progetto ridefinendo impietosamente le ambizioni turche. La scelta di Erdogan di scagliarsi contro Israele gioca non solo a favore della conquista dell’egemonia culturale ed economica sul nuovo Medio Oriente ma anche per creare un caso diplomatico con Israele in sede internazionale per evitare che si proceda con le trivellazioni. Ma l’Unione Europea che fà in questo frangente?
Bruxelles da tempo con Ankara non sà che pesci prendere. L’atteggiamento europeo verso la Sublime Porta è da molti anni ambiguo, non si vuole la Turchia nell’Ue ma nello stesso tempo non la si vuole perdere, e di certo la volontà europea di non essere coinvolta nelle schermaglie tra i due paesi non aiuta. Verosimilmente Israele, su pressioni americane ed europee, non continuerà le perforazioni esplorative a Cipro in cambio di qualche contropartita turca, ma sarà solo una questione di tempo affinchè si ripropongano gli stessi nodi e aumenti nuovamente la tensione. Purtroppo per l’Occidente sarà un litigio in casa, tra due amici.